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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 19:15.

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Nella foto i fratelli Dzhokhar A. (a sinistra) e Tamerlan Tsarnaev, i due attentatori della maratona di Boston (AP Photo)Nella foto i fratelli Dzhokhar A. (a sinistra) e Tamerlan Tsarnaev, i due attentatori della maratona di Boston (AP Photo)

Cani sciolti di un terrorismo diffuso: adesso potremmo anche coniare questa definizione, per noi italiani una sorta di riminiscenza degli anni'70, per tentare di catalogare i fratelli Tsarnaev, i due attentatori dell'ultimo tragico miglio della maratona di Boston. La catalogazione è un umanissimo sforzo, anche se talvolta assai impreciso, per provare ad afferrare un evento e inserirlo in un fenomeno che provoca paura e disorientamento. Una paura diversa e forse ancora più insidiosa e insinuante di quella che solleva il marchio di Al Qaida responsabile dell'11 settembre e di una catena di eventi ormai ultradecennale.

Non conosciamo abbastanza della storia dei fratelli Tsarnaev per potere dire come sono diventati terroristi, quale ispirazione ideologica o religiosa li abbia portati ad agire. Anche i legami con la Cecenia, che potrebbero spiegare eventuali contatti con la guerriglia islamica e il jihadismo, appaiono labili. A quanto pare sono di origini caucasiche, del Daghestan, e sono arrivati negli Stati Uniti dall'Asia centrale giovanissimi: quali sono state le loro esperienze formative o traumatiche, se ce ne sono state? Non lo sappiamo però possiamo immaginare con una certa verosimiglianza un percorso che prima di tutto parte dai mezzi di comunicazione di massa, da Internet, dove si sono affiliati a dei gruppi ceceni, e forse passa anche da qualche centro di propaganda politica e religiosa.

Come è possibile che dei giovani stranieri ma apparentemente integrati - uno aveva anche una sorta di borsa di studio universitaria - pensino di attaccare al cuore l'America? Alcuni esempi eclatanti vengono da quanto accaduto negli scorsi anni in Europa e negli Stati Uniti con i "Muslim Re-Born", i musulmani rinati, figli di emigranti di seconda generazione che hanno riabbracciato l'Islam rifiutando il modello di vita occidentale.

Il caso più clamoroso in America è stato quello di Anwar Awlaki, nato nel 1971 in New Mexico da un'agiata famiglia di origini yemenite ucciso nel 2011 in Yemen dai Predator americani della Cia. La barba folta, l'oratoria infuocata, l'eloquio colto che denunciava le origini borghesi e poi quel dito indice, sollevato in aria come un imperativo nei sermoni trasmessi su internet: Awlaki somigliava anche nei tratti al principe del terrore, Osama bin Laden, il fondatore di al-Qaida di cui avrebbe voluto essere il successore. Era stato lui l'ispiratore del giovane anglo-nigeriano Farouk Abdulmutallab, attentatore mancato del volo Amsterdam-Detroit, e del maggiore Nidal Malik Hassan, autore della strage di Fort Hood nel novembre del 2009.

La vicenda di Awlaki e dei suoi compagni di strada ha confermato che militanti del radicalismo islamico e di al-Qaida provengono con frequenza da famiglie della borghesia musulmana in molti casi assai integrate in quelle società occidentali che vogliono colpire. Sono coloro che hanno l'accesso più diretto agli strumenti materiali e culturali della globalizzazione, passando dai college ai corsi della Jihad nelle province più remote dello Yemen o del Pakistan.

Ma sono anche quelli che in maniera più eclatante vivono una lacerazione tra la condizione dell'individuo cresciuto nella società occidentale e la ricerca di un'identità forte nelle origini musulmane o in quelle di una patria perduta e idealizzata come forse è avvenuto nel caso dei due fratelli Tsarnaev, dei quali però, al contrario di Awlaki o dei terroristi inglesi degli attentati a Londra nel 2005, ci sfugge ancora gran parte della biografia per potere fare dei paralleli calzanti.

Una cosa è certa: in qualche cosa, anche di distorto, i due credevano. In cosa esattamente non lo sappiamo, né lo si intuisce guardando i loro volti nelle immagini sgranate sul filo di lana dell'arrivo della maratona di Boston, prima di far esplodere le loro bombe. Una deflagrazione che apre una nuova voragine di senso e di razionalità nelle vite americane.

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