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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2013 alle ore 07:27.

Come accade in questi casi, gli spari di Palazzo Chigi si sono sentiti quasi all'istante fino ai confini del mondo, rilanciati dai "social network". E i commenti che si sono intrecciati su internet tradivano, chi più chi meno, una certa inquietudine. Perché si tratta dell'Italia e anche chi sa poco del nostro Paese conserva un po' di memoria storica: conosce gli anni del terrorismo e sa quanto abbiano pesato nella vicenda nazionale. Poche ore dopo si è capito che il terrorismo non c'entrava nulla e che la pistola era nelle mani di un uomo dalla mente scossa. Ma resta la drammatica coincidenza: al Quirinale il giuramento del Governo Letta, con le sue ambizioni e le sue contraddizioni; a Palazzo Chigi due carabinieri feriti.

Non il miglior viatico per il nuovo esecutivo, a voler dar retta ai superstiziosi. Certo, è singolare l'enfasi con cui nel corso della giornata è stata ripresa la frase attribuita all'attentatore («volevo colpire i politici»), quando la realtà è che per terra sono rimasti i militari dell'Arma. Ma il punto sostanziale riguarda il clima politico che si respira nel paese.

Ad esempio Nichi Vendola, che è persona di solito equilibrata, pensa che si voglia «criminalizzare il dissenso», inteso come opposizione al governo delle larghe intese. Ma davvero il governatore della Puglia sente nell'aria «odore di regime»? Il ragionamento potrebbe essere rovesciato, visto che il «dissenso» nei giorni scorsi ha preso la forma di un assedio a Montecitorio, poi di un'accusa di «colpo di Stato» e infine ha imboccato la via dell'intolleranza verbale nei confronti di alcuni parlamentari.

Oggi Grillo esprime solidarietà ai carabinieri colpiti e ribadisce che i Cinque Stelle sono un movimento «non violento». Non c'è motivo di dubitare della sua buona fede, ma il leader anti-sistema dovrà imparare a misurare le parole e i gesti. Quando si rappresenta il 25 per cento dell'elettorato e si è in grado di mobilitare grandi masse di militanti, si hanno doveri irrinunciabili: perché c'è sempre in giro qualcuno non del tutto sano di mente che può equivocare.

In ogni caso, chi pensa di accusare i «dissidenti» di sicuro sbaglia. Le revolverate di Roma non sono figlie dei contrasti politici, per quanto ruvidi e impropri. Tuttavia gli stessi cosiddetti «dissidenti» dovranno convincersi che non vivono nel Cile di Pinochet o nell'Urss di Stalin. Di conseguenza le loro polemiche con le forze che hanno composto il governo Letta non dovrebbero superare la soglia del buon senso. A meno di non ammettere che si tratta solo di piccolo cabotaggio per avvantaggiarsi in tutti i modi della crisi del Pd. Se è così, Vendola rischia di diventare subalterno al movimento di Grillo. Il quale a sua volta potrebbe scivolare verso derive estremiste sempre più insidiose, specie se il nuovo governo riuscirà a ottenere qualche risultato.

Oggi Letta dovrà essere molto chiaro circa le sue intenzioni e le sue priorità. Ormai è la sola cosa che conti, visto che la maggioranza a sostegno dell'esecutivo è ampia. Lo stesso Pd ha in buona misura ricucito i contrasti interni, almeno per quanto riguarda il voto di fiducia. Il «no» di cinquanta-sessanta parlamentari era un'ipotesi estrema e poco realistica. Anche perché vorrebbe dire una scissione inevitabile e nessuno è ancora preparato a questo.

Ecco allora che nel Pd molti dei contrari alla linea dell'intesa con il Pdl hanno colto la triste occasione della sparatoria di Roma. Hanno spiegato che di fronte a una svolta drammatica si deve compiere una scelta responsabile. In sostanza, voteranno la fiducia a Letta. Nonostante il richiamo della foresta di Vendola. Questo vuol dire che in un modo o nell'altro, talvolta con le migliori intenzioni del mondo, i due carabinieri feriti sono stati strumentalizzati. Ma era forse inevitabile che accadesse, visto che siamo ai primi passi di un governo che porta con sé grandi attese. E in fondo è stato Napolitano a rendere omaggio all'Arma con le parole giuste, confermandole l'affetto di tutti gli italiani.

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