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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2013 alle ore 14:54.

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«Siamo nelle mani della Chiesa e dell'episcopato». Così il vecchio leader socialista Pietro Nenni commentava nel gennaio del 1954 la nomina del trentaquatrenne Giulio Andreotti a ministro dell'Interno nel primo governo guidato da Amintore Fanfani. Uomo dei record, Andreotti. A soli 26 anni, nel 1945, entra a far parte della Consulta che deve definire le regole per eleggere l'Assemblea costituente. L'anno dopo viene eletto alla Costituente, l'anno dopo ancora è già sottosegretario nel primo governo della Repubblica guidato da Alcide De Gasperi.

Sette volte a Palazzo Chigi
Sette volte presidente del Consiglio - tra cui il governo di solidarietà nazionale durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), con l'astensione del Partito comunista italiano, e il governo della "non-sfiducia" sempre da parte del Pci (1976-1977) - e ventidue volte ministro, il "Divo Giulio", o Belzebù (soprannome non proprio elogiativo affibbiatogli da Bettino Craxi) ha attraversato tutta la storia repubblicana. La leggenda vuole che fu lo stesso Papa Pio XII a volerlo alla guida della Fuci, l'associazione universitaria cattolica, al posto di Aldo Moro richiamato alle armi. Era il 1942. Moro, La Pira, Saraceno, Ferrari Aggradi, Vanoni, Taviani, Capogrossi. Con loro, nel 1943, il giovanissimo Andreotti partecipa al Convegno di Camaldoli nel quale viene elaborato un documento le cui indicazioni si ritroveranno nel primo programma della Dc.

I rapporti con la sinistra Dc
Andreotti conserverà sempre amicizie e rapporti con queste persone che militeranno nella sinistra cattolica ma non sarà mai assimilabile a quei gruppi che si ritroveranno nella Dc nella corrente di "Iniziativa democratica" di Fanfani, con Moro La Pira ed altri. Anzi, Andreotti è sempre stato scettico sulla stessa definizione di "sinistra democristiana". «Non so chi abbia detto al presidente De Gasperi che il Vaticano è preoccupato per l'ascesa di Fanfani "uomo della sinistra". Se Fanfani è di sinistra io sarei l'imperatore del Giappone», ebbe a dire in quegli anni. Andreotti è sempre stato descritto, dai suoi stessi compagni di partito, come esponente della destra Dc. E le parole di Nenni quando per la prima volta fu nominato ministro nel '54 confermano l'immagine "destrorsa" e "clericale" che ne avevano gli avversari politici.

Rappresentante dei moderati
Più che la destra, Andreotti ha in realtà sempre rappresentato l'anima moderata della Dc o meglio ancora la continuità e centralità democristiana, anche agli occhi del Vaticano e degli alleati statunitensi. Non è dunque un caso che dopo le elezioni del 1976 - con il Pci che raggiunge il record storico del 34,5% dei voti - proprio ad Andreotti viene affidato l'incarico di formare il primo governo della non sfiducia da parte del Pci di Enrico Berlinguer. Proprio lui, che aveva impersonato l'anima critica della Dc per il rapporto con il Psi e ogni cedimento verso il Pci, ora appare l'uomo che può esprimere al meglio la politica di Moro che lavora per l'astensione del Pci e per aprire la nuova fase politica del compromesso storico.

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