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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2013 alle ore 16:32.

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L'ultimo, in ordine cronologico, è Antonio Venturino, vicepresidente dell'Assemblea regionale siciliana, espulso dal Movimento 5 Stelle da Beppe Grillo con l'accusa di non avere rimborsato la sua parte di indennità, come previsto dallo statuto pentastellato.
L'anatema contro Venturino, che oltre ad aver restituito solo 13mila euro, a fronte dei 30 mila dei suoi colleghi eletti in Sicilia, ha manifestato anche una "preoccupante" apertura ideologica verso il Pd, è, come anticipato, solo l'ultimo di una serie inaugurata a marzo 2012 con la cacciata di Valentino Tavolazzi, attivista ante litteram dei 5 Stelle, eletto a Ferrara nel 2009.

L'ira grillesca, infatti, ha spesso colpito senza tante cerimonie i suoi stessi figlioli: Tavolazzi, il primo sbattuto fuori, venne espulso all'indomani di un congresso tenutosi a Rimini in cui aveva utilizzato il simbolo del Movimento pur non avendo avuto il permesso di farlo dal padre fondatore. Il congresso, tra l'altro metteva al centro la questione delle poltrone romane e, non bastasse questo a far lisciare i capelli all'ex comico oggi capopopolo, lanciava la volata per sedere su una di quelle poltrone di Giovanni Favia, già consigliere regionale in Emilia Romagna e, prima ancora, consigliere comunale a Bologna.

Favia, l'espulso più celebre del Movimento, seccato da Grillo lo scorso dicembre, dopo alcuni mesi dal tradimento consumato in un celebre fuorionda a Piazza Pulita, su La7, aveva detto senza tanti giri di parole al giornalista (che non aveva spento la videocamera) che nel Movimento c'erano seri problemi di democrazia. Anzi che di democrazia non c'era nemmeno l'ombra, visto che tutto era gestito da Gianroberto Casaleggio. I rapporti, già incrinati da tempo con Grillo, subirono in quell'occasione una rottura definitiva, e dopo 3 mesi di mal di pancia (Beppe era veramente legato da un rapporto di stima e affetto a quel giovanotto che lo aveva appena pugnalato alle spalle, affermando lui, che nel curriculum mette di essere un videomaker, di non avere visto la lucetta rossa lampeggiante della telecamera accesa) arrivò l'espulsione.

Lo stesso giorno della cacciata di Favia ci fu anche quella di Federica Salsi, consigliere comunale di Bologna, che, partecipando a Ballarò, senza essersi prima consultata con Grillo, si meritò l'espulsione. E se Favia colse l'occasione per tentare la corsa a quella poltrona romana cui ambiva accettando la candidatura alla Camera nella lista di Antonio Ingroia, Salsi non fece un plissé e continuò il suo lavoro di consigliere comunale dai banchi del gruppo misto (stesso gruppo in cui, dopo la sconfitta elettorale, è finito Favia in Regione).

Sempre in Emilia Romagna è stata espulsa anche la forlivese Raffaella Pirini, consigliere comunale a 5 Stelle, spesso troppo critica nei riguardi della linea dettata da Grillo e Casaleggio.

Uscendo dai confini emiliano romagnoli, pochi giorni prima della cacciata del siciliano Venturino, ad essere stato buttato fuori il mese scorso era stato il senatore lombardo Marino Mastrangeli, reo di avere partecipato ad una serie di programmi televisivi nonostante il palese veto della dirigenza del Movimento.

Morale: occhi bassi, bocche cucite, tasche svuotate e lavorare. L'alternativa è la fatwa alla genovese.

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