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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 12:45.

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Un concentrato così forte di criminali comuni, negli anni Sessanta, Settanta e inizio anni Ottanta, in Italia non poteva vantarlo nessuno. Solo Milano. Luciano Lutring, morto la scorsa notte, faceva però eccezione in un poker poco poetico, anche se romanzato, che comprendeva – solo per restare ai nomi più noti – Francis Turatello, Angelo Epaminonda e Renato Vallanzasca. Chi prima, chi dopo, ma tutti attivi in quel periodo storico. Tutti hanno lasciato un segno nella Milano criminale. Tutti così diversi uno dall'altro ma – soprattutto- tutti così lontani dalla piega che avrebbe preso dagli anni Novanta la criminalità nel capoluogo lombardo e in tutta la regione.

Lutring – come gli altri compagni di avventura dotato di grande intelligenza – le armi con le quali rapinava le teneva in una custodia per violino e criminale lo era diventato per caso anche se, presoci gusto, continuò a lungo a seminare odio e amore in un città che lo temeva ma al tempo stesso lo ammirava per il lato dolce del carattere e per quella ruspante milanesità che traspariva anche nelle frasi in dialetto che dispensava nel corso delle scorribande nelle quali era solito lasciare mazzi di fiori e che era solito far seguire da fiumi di champagne e belle donne.

Anche Francis Turatello condivideva il gusto per la vita ma era – probabilmente – il solo punto di contatto con Lutring (che al pari di un altro criminale che in quegli anni si affacciava a Milano, Vincenzo Andraous, intraprese poi un difficile percorso interiore).

Turatello, pugile dilettante da Lambrate e delinquente in erba, scalerà rapidamente la vetta più violenta della Milano criminale, fino ad arrivare a controllare il gioco d'azzardo e la prostituzione. Insomma: l'avanguardia di attività che passeranno ben presto nelle mani di quella criminalità mafiosa che lui aveva sfiorato, così come aveva abbracciato la banda dei marsigliesi e il suo pericoloso capo Albert Bergamelli.

La fine di Turatello non poteva che essere segnata da un destino crudele, come crudeli erano le sue azioni e altezzoso il suo carattere che si prendeva gioco persino dei boss di Cosa nostra e camorra: il 17 agosto 1981 fu sventrato nel carcere di massima sicurezza di Badu ‘e Carros, in Sardegna e le sue viscere tirate fuori in segno di sfregio.

Una fine orrenda, così come orrenda era la sua rivalità, all'epoca, poi mitigata con gli anni, con un altro grosso calibro della mala milanese di quel periodo: Renato Vallanzasca, il bel Renè, di cui pure Turatello fu testimone di nozze. Altro viveur e sciupafemmine Vallanzasca, che con la sua banda della Comasina contribuì e non poco a terrorizzare Milano fin dagli anni Settanta con le sue rapine. Tempi di scontri duri tra crimine e Stato, visto che a guidare la Squadra Mobile, in quegli anni, c'era Achille Serra, un poliziotto destinato a una carriera brillantissima.

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