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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 13:20.

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Con l'Imu e il rifinanziamento Cig che stanno per approdare nel Consiglio dei ministri di domani, non serviva certo al premier Enrico letta l'ultima polemica tra Pd e Pdl sulla giustizia, con il pidiellino Enrico Costa che presenta un Ddl sulle intercettazioni alla Camera. «Loro stanno perennemente in campagna elettorale mentre noi governiamo», è lo sfogo della democratica Marina Sereni, vicepresidente della Camera.

Il Pdl frena sulla Giustizia
Mentre i tecnici dell'Economia sono al lavoro per trovare le coperture necessarie al congelamento della rata di giugno della tassa sulla prima casa (con il Pdl che vorrebbe estendere l'esenzione a case rurali, cooperative edilizie e capannoni industriali), Letta vola intanto a Varsavia per incontrare il premier Donald Tusk nell'ambito del suo tour europeo. Lasciando a Roma un clima solo un po' migliore sulla giustizia, con il Pdl che frena attraverso il presidente della commissione Giustizia del Senato Nitto Palma, non certo una "colomba": «Noi sosteniamo con forza il governo Letta e riteniamo che debba adoperarsi per superare le difficoltà in cui si trova la cittadinanza come la cassa integrazione e la disoccupazione giovanile. Saggezza vuole che si facciano questi interventi, mentre per quanto riguarda la giustizia se ne parlerà tra qualche mese». Il governo non cadrà sulla giustizia o in conseguenza dei processi, aveva infatti avvertito Berlusconi nel vertice di Palazzo Grazioli di martedì sera.

Riforme: prima il Parlamento, poi la commissione di esperti
Avanti piano, dunque. Anche sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale, "core business" del governo Letta voluto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Contrariamente a quanto trapelato nei giorni scorsi il Cdm di domani non affronterà la questione riforme, né provvederà alla nomina della commissione esterna di esperti che dovrà supportare il ministro azzurro Gaetano Quagliariello. «Il governo non vuole scavalcare il Parlamento sul tema delle riforme», precisano da Palazzo Chigi. Il timing è questo: mercoledì 21 maggio audizione del ministro Quagliariello davanti alle commissioni Affari costituzionali riunite; mercoledì 29 Camera e Senato voteranno la mozione per istituire la Convenzione, ossia il gruppo di lavoro formato dalle commissioni Affari costituzionali dei due rami del Parlamento. Solo dopo questi due passaggi il governo, con un decreto del presidente del Consiglio, provvederà a nominare la commissione esterna di "saggi" - 20-25 persone tra cui, con ogni probabilità, Luciano Violante, Stefano Ceccanti, Niccolò Zanon, Marcello Pera, mentre Stefano Rodotà si è tirato fuori - che dovrà fare da raccordo tra il governo e la Convenzione e preparare i testi della legge elettorale e della revisione della seconda parte della Costituzione. A guidarla sarà formalmente lo stesso premier, che la lascerà in gestione al ministro Quagliariello.

Lo scontro sulle procedure
Ma prima ancora di dividersi sul merito - con il Pd che vuole mettere in sicurezza la legge elettorale modificando subito il Porcellum e il Pdl che vuole invece procedere prima alla riforma della forma di governo e solo in base a quella scegliere il modello elettorale - il processo riformatore rischia di incagliarsi proprio sulle procedure. Rodotà, nel tirarsi fuori dal totonomi che lo davano membro della costituenda commissione governativa di esterni («inaccettabile un percorso extraparlamentare»), fa intravvedere dove potrebbero appuntarsi le critiche del Movimento 5 Stelle e di una parte dei senatori: «Si dovrebbe cominciare in Parlamento e nella sede specifica delle commissioni Affari costituzionali, ripartendo il lavoro fra le due commissioni di Camera e Senato in modo che i tempi si accelerano. Ma non costituendo una sorta di terza Camera...». La terza Camera alla quale fa riferimento Rodotà è appunto la Convenzione, frutto dell'unione delle due commissioni, sulla quale le Camere sono chiamate a votare il 29. Dal momento che i membri della commissione del Senato sono la metà di quelli della Camera, e dal momento che in cima al menù delle riforme c'è la fine del bicameralismo perfetto con l'abolizione del Senato, c'è da aspettarsi che alle critiche dei grillini sulla farraginosità delle procedure si sommeranno le resistenze trasversali dei senatori.

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