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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 15:58.

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(foto dal sito Gazprom)(foto dal sito Gazprom)

Il dibattito nella cittadina svedese di Kiruna è stato vivace, ma alla fine il 15 maggio scorso il Consiglio artico ha accettato di accogliere come Paesi osservatori permanenti i sei Stati che ne avevano fatto richiesta: c'è anche l'Italia, tra loro, ma soprattutto la Cina che più di chiunque altro aveva fatto pressioni per essere ammessa. Ma questo è un organismo nato nel 1996 per raccogliere i Paesi che si affacciano sull'Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti) e promuovere la cooperazione tra loro su temi scientifici e ambientali, coinvolgendo le comunità indigene della regione. Perché Singapore o la Corea del Sud? Che paradossalmente entrano in Consiglio nel momento in cui la Groenlandia - parte del Commonwealth danese - ha deciso di boicottare i lavori, protestando perché ai propri rappresentanti non sarebbe stato garantito uno status pari a quello degli altri.

"Terra" contesa
Ma se Cina, India o Giappone ora hanno un posto al tavolo dell'Artico, il motivo è che arriva fino a loro l'impatto dei cambiamenti che il clima sta imponendo alla regione. La barriera dei ghiacci si ridimensiona e rende più accessibili ricchezze che - secondo la U.S. Geological Survey - oltre il Circolo polare sono il 22% dei depositi inesplorati di petrolio e gas al mondo. Per non parlare degli altri minerali, e delle risorse ittiche. È il primo fronte per cui l'Artico sta diventando "terra" contesa, non solo tra nazioni ma anche tra compagnie energetiche.

Il secondo riguarda le rotte che ora diventano percorribili, il leggendario passaggio canadese a Nord-Ovest - dalla Groenlandia all'Alaska - e la Via marittima settentrionale, scorciatoia di 13mila km tra l'Europa e il Pacifico attraverso lo Stretto di Bering, una via commerciale che permetterebbe di risparmiare 10-15 giorni di navigazione rispetto alla rotta di 21mila km che passa da Gibilterra e dal Canale di Suez. La posta in gioco è grande, anche per i Paesi asiatici.

Secondo gli Stati Uniti, nel giro di tre-cinque anni l'intero Oceano Artico sarà libero dai ghiacci durante i mesi estivi. Il dominio di Suez - da cui passano 18mila navi all'anno - o di Panama non è ancora in pericolo, ma il cambiamento è rapido. Se nel 2010 soltanto quattro navi mercantili hanno attraversato la Via del Nord, nel 2012 già ne sono passate 46. A Pechino sostengono che nel 2020 il 15% delle merci da o per la Cina transiterà per l'Artico. E per crearsi dei punti d'appoggio nell'area, Pechino ha avviato un corteggiamento sempre più assiduo nei confronti dei Paesi del Nord del mondo.

Il viaggio del "Dragone"
È uno dei principali investitori minerari in Groenlandia, interessatissima ai suoi depositi di terre rare ma anche ad acquistare terreni, ed esercita lassù una crescente influenza che preoccupa l'Unione Europea. Il 15 aprile scorso Pechino ha stretto con l'Islanda il suo primo accordo di libero scambio con una nazione europea, mentre nell'estate 2012 una visita a Copenhagen dell'allora presidente Hu Jintao fu l'unica tappa europea di un suo viaggio verso il Messico, e segnò un rilancio degli scambi tra Cina e Danimarca.

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