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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2013 alle ore 19:21.

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Nelle intenzioni della politica, la «riforma complessiva» del Fisco immobiliare dovrebbe portare al varo della «service tax», una tassa locale unica collegata alla casa e destinata a pagare i servizi comunali. La «service tax» è un'araba fenice nell'eterno lavorio italiano sul Fisco, da quando si è cominciato a parlare di federalismo scompare e ricompare a tutti gli snodi cruciali del dibattito, ma finora non ha mai visto la luce. E difficilmente la vedrà in futuro.

L'idea affascina sia la politica nazionale sia quella locale, piace a molti per la trasparenza che sembra caratterizzarla (tanto pago, tanti servizi locali ricevo, e poi giudico alle elezioni), ma si scontra con almeno cinque ostacoli che sembrano difficilissimi da aggirare.

Ostacolo numero 1: Chi paga cosa?

La service tax dovrebbe nascere dalla fusione di Imu e Tares, due tributi che come mostra la cronaca quotidiana sono già pieni di problemi. Fonderli, però, è ancora più difficile, per una ragione semplice: l'Imu è a carico del proprietario, la Tares deve invece essere pagata da chi «occupa» un immobile (fabbricato o terreno) a qualsiasi titolo, quindi anche inquilini, comodatari e così via. Come si fanno convivere due platee così diverse? Si potrebbe per esempio destinare la service tax solo ai proprietari, ma l'ipotesi appare naturalmente assurda.

Ostacolo numero 2: La prima casa è «sacra»?

La service tax denuncia fin dal nome la sua finalità: far pagare i servizi locali a chi li utilizza. Ma se l'abitazione principale è sempre «sacra» e «inviolabile» per il Fisco, come pretende il Pdl, o va comunque esclusa dalla tassazione nella maggioranza dei casi, com'è scritto nei programmi di Pd e Scelta Civica, come si fa a far pagare davvero i servizi agli utilizzatori. È infatti indiscutibile, ovviamente, che in ogni Comune i servizi locali siano utilizzati prima di tutto da chi ci abita: proprio questo ostacolo contribuì non poco a fermare il decollo della service tax all'epoca del federalismo fiscale, su cui si cominciò a lavorare subito dopo aver canellato l'Ici sulla prima casa.

Ostacolo numero 3: le abitazioni non «principali»

Il terzo ostacolo è speculare al secondo. Se continuiamo a seguire la lettura più rigida sul collegamento fra tassa e servizi locali, dobbiamo arrivare alla conclusione che una casa sfitta, come accade sempre più spesso nel pieno della crisi del mercato immobiliare, non consuma praticamente alcun servizio locale: va esclusa dalla service tax? E che accade per le case di vacanza, che vengono utilizzate per poche settimane all'anno? Nella Tares (come per le vecchie Tarsu e Tia), già oggi i proprietari pagano in proporzione al periodo di utilizzo dell'immobile (quando è inferiore ai sei mesi all'anno), ma per l'Imu ovviamente no anche perché la casa al mare o in montagna è un indice di ricchezza su cui ovviamente si esercita la patrimoniale. Che cosa potrebbe accadere con la service tax?

Ostacolo numero 4: l'Europa

«Ce lo chiede l'Europa» è stato in questi anni il mantra che ha accompagnato ogni episodio nella ormai lunga storia del rigore finanziario, contribuendo non poco al crollo di popolarità di Bruxelles e del progetto comunitario. Nel caso delle tasse ambientali, però, l'Europa chiede una cosa sensata, e cioè che si paghi in proporzione ai rifiuti prodotti in base al principio del «tanto inquini, tanto paghi». Proprio per questo, nel lontano 1997 (decreto Ronchi) è nata la Tia, calcolata con un metodo statistico che serve a calcolare i rifiuti prodotti e su questa base misurare la tassa. La Tia avrebbe dovuto sostituire la Tarsu (calcolata a metro quadrato) in tutti i Comuni, ma è stata prima abbandonata dal legislatore nazionale e poi addirittura vietata (nel 2008, con lo stesso decreto che cancellò l'Imu sulla prima casa) per chi non l'avesse già applicata: con il risultato che in 16 anni solo un Comune su sei l'ha adottata. Oggi la Tares, con qualche timidezza, dovrebbe estendere a tutti il metodo statistico della Tia. Ma come si fa a rispettare il principio del «tanto inquini tanto paghi» se si fonde la Tares con l'Imu, senza quindi avere un tributo a sé per i rifiuti?

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