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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2013 alle ore 06:41.

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Un poker d'assi targato Ue per l'emergenza lavoro. Quattro carte che l'Italia potrà giocare a partire dal 2014 con una dote di partenza complessiva intorno ai 10 miliardi di euro per i prossimi sette anni. La quota maggiore, pari a 9 miliardi, dovrebbe arrivare dal Fondo sociale europeo, ancora oggetto di negoziato a Bruxelles, a cui si aggiungerà un assegno tra i 400 e i 600 milioni per la Youth guarantee, il piano di Bruxelles per i Paesi ad alto tasso di disoccupazione giovanile. Le risorse sono destinate ad aumentare grazie alla parte di cofinanziamento nazionale, che potrebbe essere scorporata dal calcolo del deficit una volta concluso il negoziato sulla golden rule. Nella partita entrerà, poi, la Banca europea per gli investimenti, che studia linee di credito a favore di imprese che assumono. Se poi si aggiungono i fondi strutturali della programmazione 2007-2013 non ancora spesi il tesoretto diventa consistente. Una bella boccata d'ossigeno in tempi di margini di spesa pubblica sempre più risicati.
Youth guarantee
La risorsa più a portata di mano è la «garanzia per i giovani» lanciata dalla Commissione Ue nel dicembre 2012, che assegna un ruolo chiave ai servizi per l'impiego. Per ottenere i fondi – che complessivamente a livello europeo arrivano a 6 miliardi – occorre assicurare un'offerta di lavoro "qualitativamente" valida, uno stage o un contratto di apprendistato entro quattro mesi da quando i giovani hanno lasciato la scuola o sono rimasti senza lavoro. I fondi saranno disponibili dal 2014, ma il governo Letta preme per anticiparli al 2013. «Per guadagnarsi le risorse europee - sottolinea Carlo Dell'Aringa, sottosegretario al Welfare - è necessario puntare sulla qualità delle attività svolte per trovare un lavoro ai disoccupati». L'obiettivo dell'Esecutivo è ripresentare la delega per il riordino dei servizi per l'impiego: «Tra le ipotesi sul tappeto - dice Dell'Aringa - c'è la costituzione di un'agenzia nazionale, con la partecipazione delle regioni, che gestirà sia le politiche passive sia quelle attive. Fondamentale sarà la messa a punto di linee guida nazionali, con un monitoraggio delle attività svolte e un maggior coinvolgimento dei privati». L'idea è quella della presa in carico dei disoccupati da parte del sistema pubblico, con la possibilità da parte delle agenzie per il lavoro di partecipare ai bandi per l'assegnazione delle attività di formazione e outplacement. Ma restano alcuni nodi da sciogliere, come la carenza di personale lamentata dai centri per l'impiego (circa 6.600 persone), che si potrebbero rafforzare, secondo Dell'Aringa, «aumentando la mobilità nella Pa», attingengo per esempio alle amministrazioni provinciali, per le quali il Governo sta preparando la chiusura.

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