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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2013 alle ore 20:01.

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La guerra commerciale Europa-Cina è rinviata, anzi potrebbe non scoppiare mai. È questo il senso della decisione annunciata oggi dalla Commissione europea di imporre dazi medi dell'11,8% sui pannelli solari made in China. Nei piani di Bruxelles infatti le barriere dovevano essere molto più elevate: i documenti che circolavano fino a pochi giorni fa parlavano di tariffe medie del 47%, con punte nettamente superiori. Invece è arrivato il colpo di scena: il commissario Ue al Commercio Karel De Gucht ha annunciato che per i primi due mesi i dazi saranno molto più bassi del previsto e che solo in caso di mancato accordo con Pechino, all'inizio di agosto entreranno in vigore i veri dazi.

Mezza retromarcia
La mezza retromarcia della Commissione arriva dopo che diversi Stati, in primis la Germania, avevano pubblicamente dichiarato la propria contrarietà a questa iniziativa, giudicata come un pericoloso precedente che poteva innescare una vera e propria guerra commerciale tra Europa e Cina. Su 27 Paesi dell'Unione Europea, fino a 18 avevano espresso forti riserve nei confronti di Bruxelles e tra i grandi solo Italia e Francia si erano detti favorevoli. La Germania, le cui aziende hanno enormi interessi in Cina e vi ricavano quote crescenti dei propri utili, non vuole inimicarsi un partner troppo importante. Le perplessità dei Governi sono condivise da molte imprese europee che non producono direttamente pannelli, ma lavorano nei servizi, dall'import alla distribuzione fino all'installazione dei moduli fotovoltaici.

Bruxelles cerca un'intesa
«Questa è un'offerta unica ai cinesi - ha detto De Gucht - che fornisce un chiaro a incentivo a trovare un'intesa. Ora la palla è nel campo di Pechino». La Cina aveva già fatto capire di non volere arrivare allo scontro aperto e più volte aveva ventilato possibili ritorsioni. Nel weekend ci sono state fitte consultazioni ad alto livello per evitare il muro contro muro. Negoziati che evidentemente hanno avuto un primo successo. Ora le parti cercheranno un compromesso: tra le ipotesi, un aumento dei prezzi all'export dei pannelli cinesi o la definizione di quote condivise.

L'indagine della Commissione europea contro la Cina, la più grande mai avviata dalla Ue in materia commerciale, è scattata lo scorso settembre su iniziativa di alcune aziende europee. L'accusa a Pechino è di dumping, cioè di esportare a prezzi inferiori ai costi di produzione. In pochi anni la quota di mercato cinese nella Ue è passata da zero all'80%, praticamente un monopolio, pari a 21 miliardi di export, il 7% delle esportazioni cinesi nella Ue. Nel frattempo diverse imprese europee del solare hanno chiuso o sono in gravi difficoltà. La tedesca Q-Cells è stata comprata dal gruppo sudcoreano Hanwha mentre un'altra azienda tedesca, Solarworld, sta negoziando una ristrutturazione del suo debito. «La capacità produttiva della Cina - accusa Milan Nitzsche, presidente dell'associazione di imprese Eu ProSun - supera di 30 volte il mercato interno e di due volte la domanda mondiale. Il dumping cinese è palese e le regole della Wto lo vietano».

Il precedente americano
Dall'altra parte dell'Oceano, intanto, i dazi sui pannelli solari cinesi sono ormai definitivi dallo scorso ottobre e variano in media dal 24 al 36%, con punte del 255%. L'impatto sull'interscambio è stato immediato, con un crollo dell'export di pannelli cinesi negli Usa, mentre è aumentato l'import da altri Paesi asiatici. Le aziende cinesi, all'indomani della decisione americana, avevano annunciato l'intenzione di delocalizzare la produzione per aggirare i dazi.

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