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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 06:37.

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ROMA
La base produttiva italiana è in pericolo perché il prodotto industriale potenziale dalla fine del 2007 ad oggi si è ridotto del 15% ed è tornato al livello del 1990. Quanta parte di questa distruzione di ricchezza si rivelerà, alla fine, permanente, con tutto quello che ciò comporta in termini di altri posti di lavoro perduti? È questo l'interrogativo drammatico che percorre il rapporto sugli Scenari industriali presentato ieri a viale dell'Astronomia. «Chiudi le imprese, chiudi i capannoni, gli impianti: sono cose che hai perso», sottolinea il direttore del Centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, spiegando che così per tornare ai livelli pre-crisi «non basta una ripresa della domanda ma bisogna ricreare un bel pezzo della capacità produttiva».
Dall'autunno del 2007, si spiega infatti nel rapporto, quando iniziò la prima delle due profonde recessioni che abbiamo vissuto, si sono registrati cali produttivi «del 40% negli autoveicoli» e «di almeno un quinto in 14 settori su 22». Tutto ciò ha prodotto una flessione del potenziale manifatturiero pari al 15,3%, come risultato di un calo dell'attività manifatturiera medio del 24,5% e di una riduzione di otto punti percentuali nel grado di utilizzo degli impianti (dal 76,1 al 68%).
In Germania, invece, il potenziale manifatturiero (che si ottiene dividendo il valore della produzione per il grado di utilizzo degli impianti produttivi) è salito del 2,2%. In condizioni analoghe a quelle italiane, spiega ancora l'analisi, si trovano oggi le industrie francesi e spagnole. Ma non basta: in quattro anni, dal 2009 al 2012, in Italia hanno cessato l'attività 54.474 imprese manifatturiere, il 19,3% del totale, mentre il saldo netto tra aziende nate e morte segnala che il numero totale delle imprese manifatturiere è diminuito di oltre 32mila unità. Le più colpite sono state le Pmi.
A soffrire di più, come numero di imprese chiuse, è stato il settore dei prodotti in metallo (esclusi i macchinari), che ha perso 9.009 aziende, seguito dal comparto dell'abbigliamento (-4.898), da quello dei macchinari e delle apparecchiature (-4.413) e da quello dell'industria alimentare (-4.030). La quota più alta di cessazioni si è avuta invece nel farmaceutico (-27,7%), nel tessile (-26,7%), nella pelletteria (-25,3%) e nell'abbigliamento (-25%). Quanto alla perdita in termini di occupati, nel manifatturiero il numero di occupati è sceso di circa il 10%, e «le imprese italiane saranno probabilmente costrette a tagliare ulteriori posti di lavoro nei prossimi mesi», dice il Centro studi: la caduta «ha già raggiunto le 539mila persone (2007-2012)», e «rischia di superare» le -724mila del periodo 1980-1985.

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