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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 06:37.

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«Non facciamo l'errore di relegare l'industria ad un ruolo subalterno» ha detto il vicepresidente di Confindustria con delega al Centro studi, Fulvio Conti, aprendo i lavori del seminario. «Preserviamo la nostra posizione di leadership - ha avvertito - soprattutto in quei settori specializzati e altamente qualificati dove proprio la Cina sta cercando di guadagnare terreno e imporsi, puntando su innovazione e ricerca». Conti ha poi colto l'occasione per rilanciare le 5 proposte di politica economica necessarie per il rilancio dello sviluppo: sburocratizzazione del Paese, taglio dei costi per le imprese; fisco più leggero; patto generazionale sul lavoro; detassazione degli investimenti in ricerca e innovazione.
Va detto, del resto, che nel rapporto del Csc non vi sono solo le tinte fosche dei 5 anni di crisi che abbiamo attraversato, ma si cerca di guardare alle prospettive di lungo termine e agli atout dei quali la manifattura italiana ancora dispone. Soprattutto, si muove da una considerazione: «Più manifatturiero uguale più alta crescita». Gli esperti di viale dell'Astronomia hanno infatti stimato che nei paesi avanzati un aumento di un punto della quota di manifatturiero si associa a un maggior incremento annuo del Pil di 1,5 punti percentuali; negli emergenti il guadagno è pari a 0,5 punti. Ora, nonostante i formidabili cambiamenti intervenuti nella storia dell'industria globale, l'Italia continua a posizionarsi settima nella graduatoria mondiale dell'output industriale, con una quota del 3,1% sulla produzione manifatturiera nella media 2011-2012, seconda in Europa solo alla Germania, che vanta una quota quasi doppia. Il nostro Paese, inoltre, è quinto al mondo sulle esportazioni manifatturiere in termini di valore aggiunto, con una quota di scambi del 4,2 per cento.
«L'Italia, come le altre economia avanzate – evidenzia il Csc – detiene un livello di industrializzazione che è un multiplo di quello degli emergenti più importanti. Ciò rispecchia una dotazione maggiore di competenze. Per quanto riguarda le esportazioni manifatturiere in termini di valore aggiunto, conclude il Csc, l'Italia si inserisce bene nella catena del valore ed è capace di estrarre un alto valore aggiunto dal suo export. Infatti, mentre si consolida il primato della Cina e migliora quella degli Stati Uniti, che si avvicinano a Germania e Giappone, in termini di v.a. l'Italia sorpassa la Francia.
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1
Semplificazione
Sburocratizzazione, governance pubblica snella, riforma del Titolo V

2
Taglio dei costi per le imprese
Fisco leggero, taglio di 11 punti degli oneri sociali sulle imprese
3
Ridare liquidità all'economia
Pagare subito tutti i debiti della Pa e sostenere l'accesso al credito
4
Mercato del lavoro
Patto generazionale, incentivazione all'esodo, sgravi per giovani e donne
5
Investimenti in R&S detassati
Detassazione per investimenti in ricerca, innovazione e infrastrutture
IL PREZZO ALTO DELLA CRISI
Margini erosi
Il CsC ha calcolato che il livello della produttività è rimasto invariato nel manifatturiero, nonostante la marcata riduzione dei volumi. Ma il costo del lavoro ha continuato a salire ed è cresciuta la perdita di competitività. Per difendere le vendite le aziende hanno sacrificato i margini

Ancora in rialzo il costo del lavoro
In Italia il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) nell'industria ha continuato a crescere durante la crisi, come e più che nei maggiori paesi concorrenti. Nel 2012 è aumentato del 4,1%. Un rialzo che, sommato a quello del 2011 (+1,6%), ha quasi annullato il parziale rientro del registrato nel 2010 (-6,2%)
Fatturato interno in forte calo
Il calo del fatturato nell'industria nella prima recessione (dal 3° trimestre 2007 al 2° 2009) è stato del 20,2% (-25,5% sul mercato estero; -18,1% su quello interno). Nella seconda (dal 2° trimestre 2011 al 1° 2013) il fatturato totale è diminuito del 14,% (-0,5% quello estero; -19,2% quello interno)

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