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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2013 alle ore 16:12.

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La sindrome del Dottor Stranamore
Il diffuso senso d'insicurezza russo – del potere e dell'opinione pubblica – è provocato dal contrasto fra le speranze di vent'anni fa e la realtà di oggi. Su questo gli Stati Uniti e l'Europa hanno delle responsabilità. La crisi profonda del nostro modello liberal-democratico toglie in qualche modo ai russi una bossola che le indichi la direzione verso un cammino democratico. Ma non è solo questo. La cortina sempre più gelida che ora divide la Russia dalla Nato, non è stata solo elevata dalla crisi siriana e dalle sanzioni occidentali all'Iran. E' un'incomprensione più antica che parte dall'allargamento a Est dell'Alleanza atlantica, delle rivalità in quello spazio geopolitico in Europa e in Asia che un tempo occupava l'Unione Sovietica, del programma europeo di difesa missilistica, dell'uso della forza al di fuori del Consiglio di sicurezza Onu come in Seria e Libia.
A oltre due decenni dalla caduta del Muro la Russia è disorientata. Neanche gli Stati Uniti, tuttavia, hanno una direzione precisa. Negli anni Novanta, quelli del massimo potere americano, non hanno saputo che farne di questo primato di superpotenza in solitudine. Nei Duemila ne hanno fatto un uso esagerato, combattendo due guerre sbagliate. All'inizio del secondo decennio del XXI secolo è iniziata una ritirata generale dalle responsabilità globali.

In questo incedere odivago, russi e americani hanno continuato a parlarsi con la lingua della Guerra fredda. L'unica che conoscono davvero, quella che usavano nel mondo bipolare, quando erano sicuri del loro ruolo nel mondo. Con un esercito pletorico da un milione di uomini, la Russia continua ad addestrarsi e armarsi per una guerra contro la Nato. Il più improbabile dei possibili conflitti di oggi contro due numici, Usa ed Europa, che dovrebbero invece essere i principali partners commerciali.

Entra la Cina
Un missile balistico lanciato dalla Russia impiegherebbe 30 minuti a raggiungere la base di Kefravik e radere al suolo gli shelter nei i quali si riparano illusoriamente i nostri caccia. Ma è uno scenario solo teorico. La misurazione più pratica e reale è un'altra: grazie allo scioglimento dei ghiacci la rotta artica permette a un mercantile cinese partito da Shanghai di accorciare di due settimane e di 6.200 miglia la sua navigazione fino a Reykjavik. Lo ha verificato l'state scorsa una nave cinese con una non meglio precisata missione scientifica a bordo.

Difficile non pensare che la scienza in questione sia quella economica. Stati Uniti e Russia continuano a combattere una specie di Cold War Redux, e per loro l'Islanda è il caro, vecchio avamposto per il controllo dell'Artico. La Cina, intanto, guarda con cupidigia mercantile ai mari che si aprono e alle terre che il ghiaccio scopre. L'Islanda per loro è un avamposto commerciale come Bombay 300 anni fa per la Compagnia delle Indie. L'ambasciata più grande a Reykjavik è quella cinese. Dopo l'ultima ristrutturazione è in grado di accogliere 500 diplomatici: gli Islandesi sono poco più di 300mila.

Un tesoro sotto i ghiacci artici
L'Islanda è il primo Paese europeo ad aver firmato un accordo di libero scambio con la Cina: pesce, materiale da pesca e poco altro. A parte la potenzialità di miniere ricche di metalli pregiati nell'isola e nel resto dell'Artico, ora che il riscaldamento terrestre sta per rendere fruibile quelle terre fredde come le sabbie dei deserti petroliferi del Golfo.
Il primo uomo d'affari cinese sbarcato a Reykjavik è Huang Nubo, proprietario del gruppo immobiliare Beijing Zhongkun. Vuole comprare 1.300 chilometri quadrati di terra per farci cento ville, un albergo, un campo di golf e un parco per turisti. E' pronto a investire 200 milioni di dollari. Gli islandesi sono tentati ma temono di perdere una sovranità alla quale tengono al punto da detestare l'Unione europea. Stanco dei sospetti riguardi a un investimento di quel livello e di quel genere, Huang è sbottato: "Un sacco di persone si chiede perché un cinese voglia investire in un posto così remoto". Esatto, perché?

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