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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2013 alle ore 20:10.

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«Abbiamo bloccato la carta di credito europea». Il premier britannico David Cameron aveva alzato l'Union Jack sull'accordo di febbraio che pareva avere definitivamente spianato l'intesa sul bilancio dell'Unione europea. Una vittoria dell'inconsueto asse del nord con inglesi e scandinavi spalleggiati dalla Germania in un'eccentrica formazione per gli amanti della tradizionale liaison franco-tedesca. In realtà David Cameron avrebbe voluto fare di più, o di peggio a seconda dei punti di vista, tenendo il bilancio non solo al di sotto di quello precedente, ma al di sotto dei 900 miliardi di spesa effettiva. A tanto non è arrivato, ma l'indennizzo guadagnato in passato da Margaret Thatcher appariva, in quelle ore, intatto. Il "rebate" è un simbolo a queste latitudini, il simbolo dell'indipendenza e della forza negoziale di Londra di cui la borsetta thatcheriana sventolata al summit di Fontainbleue nel 1984 resta la metafora più efficace. "Nemmeno un penny in più", urlò Maggie prima convincere i partner a concederle quelle compensazioni di bilancio a fronte dei sussidi agricoli garantiti a Parigi e non solo a Parigi.
David Cameron ha voluto mimare quel gesto ? Di certo ha voluto porsi nel solco della grande tradizione della Lady di ferro. E lo ha fatto per ragioni ideologiche, ma anche squisitamente politiche. A Londra risulta inaccettabile che a fronte di tagli radicali al budget nazionale come quelli visti in questi anni e riaffermati non più tardi di qualche ora fa dal cancelliere George Osborne, Bruxelles non sappia fare altrettanto. O almeno qualcosa di simile. Ha voluto esportare austerità, intesa come riduzione delle spese inutili, almeno nell'accezione comune oltre le scogliere di Dover.
Una convinzione genuina che si declina, però, con le esigenze di politica interna. David Cameron non può in alcun modo apparire come il debole esecutore della volontà dei più nell'Unione. Deve riaffermare costantemente la propria autonomia, battersi per far emergere l'eccezione britannica. Glielo impone un partito sempre più dominato dalle falangi euroscettiche di cui il premier ha fatto propri molti principi. Falangi che sentono il fiato dell'Ukip, gli indipendentisti di Nigel Farage che invocano l'uscita dall'Unione e che guadagnano consensi in tutto il Paese a scapito proprio dei conservatori. È un partito minacciato dalle forze alla sua destra – se così si vogliono definire gli atteggiamenti eurofobi dell'Ukip – quello che detta a David Cameron l'agenda europea. Il premier media, ma non troppo. Per convinzione in piccola parte, per realismo politico soprattutto.
E' questa la genesi del nuovo no di Londra. Non del tutto dissimile, in realtà, da quella di sempre, anche se reso molto più complesso dalla crisi dell'euro che ha risvegliato nel cuore dei britannici paure irrisolte e tentazioni antiche. Dinamica che fa della Gran Bretagna un'isola sempre più lontana dal continente.

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