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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2013 alle ore 14:57.

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La crisi del modello politico dell'Islam moderato

L'emiro Hamad al-Thani aveva un grande disegno mediorientale. Ovunque fossero iniziate, le Primavere arabe avevano fatto emergere le fratellanze islamiche come la forza più organizzata e preparata. Diversamente dai salafiti e dai qaidisti, i Fratelli erano l'entità moderata dell'Islam politico. Sarebbero stati dunque loro, secondo il progetto dell'emiro del Qatar, a guidare la transizione verso le nuove democrazie. I Fratelli musulmani in Medio Oriente, come le Democrazie cristiane in Europa. Più o meno.

L'emiro al-Thani ha appena abdicato e il figlio Tamim probabilmente seguirà le orme del padre. Fatalmente con qualche correzione in corso d'opera. Dove si è affermato, l'Islam politico mostra segni evidenti di deficit democratico. Dalla Tunisia fino alla Turchia, con il fallimento siriano nel quale fra gli oppositori al regime, le fratellanze non hanno saputo imporsi sugli estremisti.

Ma le vicende egiziane testimoniano più di altre la crisi del modello politico dell'Islam moderato, del disegno di Hamad al-Thani e del futuro delle Primavere arabe. È in Egitto che è stato creato il movimento dei Fratelli musulmani: da qui si è diffuso in tutta la regione, considerando sempre il Cairo il cuore originale del movimento. La fratellanza può mostrare moderazioni e qualità di governo a Tunisi. Ma se non accade qui al Cairo, se non riesce a trasfomarsi da movimento di lotta e di preghiera a forza di governo, l'Islam politico avrà vita breve ovunque.

Mohamed Morsi si rifiuta di sottostare all'ultimatum dei militari che, sia pur detto con altre parole, gli chiedono di dimettersi. Non ha tutti i torti: era stato eletto presidente un anno fa. Ma almeno 22 milioni di egiziani con una petizione e 15 nelle strade lo hanno sfiduciato. Non è un voto ma un atto politico che nessun governo democratico al mondo può ignorare. Nemmeno se la Costituzione dà al presidente eletto altri tre anni di governo.

L'ultimatum dei militari non è solo un gesto forte contro la sua presidenza. È anche l'ultima opportunità per i Fratelli musulmani di dimostrare di essere partito delle istituzioni e dunque di governo, e non quello che tutti sospettano continui a essere: una consorteria religiosa segreta, chiusa, opaca, con un'agenda coranica più che costituzionale.

Due anni e mezzo fa, quando le Forze armate imposero l'ultimatum anche a Hosni Mubarak, il dittatore cercò di resistere il più possibile. Poi cedette perché attorno aveva il vuoto: lo avevano abbandonato i suoi, i generali, il mondo arabo, gli americani. Non aveva alcuna possibilità di sfidare contemporaneamente i militari e la piazza. Morsi no: è più legittimato di Mubarak e soprattutto il suo movimento ha forza e mezzi per mobilitare masse. Se il presidente rifiutasse di ascoltare quello che sta chiedendo una parte importante del Paese, lo scontro diventerebbe duro. La Primavera egiziana potrebbe sperimentare le violenze che hanno conosciuto altre rivolte arabe. E la fratellanza diventerebbe milizia, perdendo l'ultima occasione di essere credibile.

Se accettasse la realtà, guadagnerebbe altro tempo per imparare, probabilmente per vincere di nuovo le elezioni. Non sarebbe giusto pretendere dai Fratelli musulmani di conoscere già le regole democratiche, dopo 60 anni di persecuzioni e arresti. Nessun partito egiziano dell'opposizione, nemmeno i giovani Tamarrud, sa di democrazia più degli Ikhwan, i Fratelli. È tutto l'Egitto che ha bisogno di tempo per imparare.

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