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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2013 alle ore 06:44.

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Il Paese della rivoluzione permanente è diventato il Paese degli ultimatum. Due in poche ore. Prima quello dei Tamarrud che avevano raccolto 22 milioni di firme e portato in piazza quasi 15 milioni di egiziani. Poi le Forze armate, pronte a dettare di nuovo il futuro immediato dell'Egitto. Una cosa sola sembra certa: la piazza e i militari hanno definitivamente scaricato Mohamed Morsi e il governo dei Fratelli musulmani. Al presidente e al suo esecutivo restano poche alternative, oltre le dimissioni.
Il più importante degli ultimatum, quello che in un certo senso ingloba il primo, lo legge con voce ferma il portavoce delle Forze armate per conto del generale Abdel Fattah al-Sisi, il comandante in capo. Definisce le manifestazioni di domenica un'espressione «senza precedenti» della volontà popolare. Questo «onorevole» popolo egiziano che ha manifestato la sua volontà in modo pacifico secondo ogni standard nazionale e internazionale - sempre parole di al-Sisi - ha bisogno di una risposta.
I militari avevano già dato una settimana di tempo «ai politici», cioè a Morsi, per risolvere le dispute. Ma l'avviso era stato ignorato dai Fratelli musulmani. Venerdì nel suo discorso alla televisione, il presidente Morsi non ne aveva fatto alcun cenno: un gesto offensivo.
Ora per i militari il tempo sta scadendo. «La situazione è storica per la Patria e la Nazione». Sotto forma di "ultimatum", le Forze armate danno 48 ore di tempo ai politici (sempre a Morsi) per uscire da questo stato di cose: «Perdere altro tempo non può che portare a nuovi disordini». Se anche questa scadenza sarà ignorata, «le Forze armate decideranno la road map per l'immediato futuro». A questo compito i militari chiamano accanto a loro «tutte le forze patriottiche, compresi i giovani»: i Tamarrud, i milioni di manifestanti, certamente anche i Fratelli musulmani ma, è sottinteso, non Mohamed Morsi.
Nella peggiore delle giornate per la fratellanza islamica (che ha registrato anche l'arresto di 15 guardie del corpo del leader Khairat El-Shater), in mattinata anche i Tamarrud avevano emesso il loro ultimatum tombale. Entro le 17 di oggi Morsi deve rassegnare le dimissioni. In caso contrario, era stata la minaccia, sarebbe incominciata una campagna di disobbedienza civile. «Invitiamo le istituzioni dello Stato, compreso l'esercito, la polizia e il sistema giudiziario a mettersi chiaramente dalla parte della volontà popolare». Un ammonimento rivoluzionario piuttosto presuntuoso. Ma poco dopo cinque ministri avevano immediatamente aderito, dando le dimissioni dal governo. Quattro di loro, i ministri di Turismo, Ambiente, Comunicazioni e Affari legali, motivano il gesto: «in solidarietà con la richiesta popolare di rovesciare il regime». Un linguaggio da Tamarrud. L'ultimatum delle Forze armate ha definitivamente chiarito in quale direzione va l'Egitto. Per ora.

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