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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2013 alle ore 11:38.

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Washington ha abbandonato Mohamed Morsi ancor più rapidamente di quanto avesse fatto con Hosni Mubarak ma questa volta, oltre alle rivolte di piazza, a indurre gli Stati Uniti a sostenere l'iniziativa golpista dei militari (ai quali gli USA hanno appena versato la quota annuale di aiuti per 1,3 miliardi di dollari) potrebbe aver contribuito un rapporto redatto nei giorni scorsi dall'intelligence libico che attribuisce allo stesso Morsi e ad altri esponenti islamisti egiziani un ruolo chiave nell'attacco al consolato statunitense a Bengasi dell'11 settembre scorso nel quale i jihadisti uccisero 4 americani incluso l'ambasciatore a Tripoli, Chris Stevens.

Il rapporto, firmato dal Direttore della National Security libica, Mahmoud Ibrahim Sharif, è stato inviato il 26 giugno al Ministro degli Interni e da il giorno successivo è stato pubblicato dal quotidiano kuwaitiano Al Ra 'i e poi da numerosi siti internet in lingua araba e infine tradotto in inglese dall' analista di problemi del mondo islamico Raymond Ibrahim.
Il rapporto si basa sulle indagini effettuate dalle autorità libiche alle quali, anche se il Sharif non lo dice, pare abbiano contribuito non poco il supporto di FBI e dell'intelligence statunitense soprattutto nel campo delle intercettazioni delle comunicazioni dei membri del movimento salafita Ansar al-Sharia, costituitosi durante la rivolto contro il regime di Gheddafi del 2011 e responsabile di numerosi atti terroristici.

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Negli interrogatori i jihadisti egiziani arrestati a Bengasi avrebbero confessato che l'attacco al consolato americano è stato pianificato e finanziato al Cairo con il coinvolgimento diretto di molte figure chiave del mondo politico egiziano a partire dal presidente Mohamed Morsi. Tra i nomi dei "padrini" di Ansar el-Sharia anche il candidato salafita alle elezioni presidenziali egiziane dell'anno scorso Hazim Salih Abu Ismail e l'uomo d'affari saudita Mansour Kadasa, proprietario della tv satellitare egiziana al-Nas vicina ai Fratelli Musulmani. Coinvolti anche due predicatori egiziani, Sheikh Muhammad Hassan e Safwat Hegazi, noti per le posizioni estremiste e le esortazioni al jihad. Hegazi aveva sostenuto la candidatura di Morsi annunciando che "ripristinerà il Califfato con Gerusalemme come sua capitale".

La pagina del rapporto degli 007 di Tripoli va certo presa "con le molle" anche perché non spiega i dettagli né circa l'attendibilità delle informazioni raccolte (o estorte) né di come sia stato possibile risalire al coinvolgimento di Morsi e degli altri egiziani nell'azione terroristica dell'11 settembre scorso. Il documento libico apre però scenari importanti (e inquietanti) innanzitutto perché dimostrerebbe la sostanziale coincidenza di interessi tra Fratelli Musulmani e salafiti nell'obiettivo comune di imporre l'Islam più radicale non solo in Egitto ma in tutto il "Califfato".

Un ruolo al quale potrebbe non essere estraneo il Qatar, grande finanziatore dell'islamismo radicale nelle sue forme armate e politiche, sponsor indispensabile alla sopravvivenza economica dell'Egitto e regista fin dal 2011 della destabilizzazione in chiave islamista della Libia. L'evidenza del ruolo del Cairo nei fatti di Bengasi e nel colpire gli interessi e i cittadini statunitensi potrebbe aver influito in modo decisivo nel modificare rapidamente la posizione della Casa Bianca che nel dicembre scorso aveva encomiato Morsi per la mediazione che pose fine agli scontri tra Hamas e Israele a Gaza. Il sostegno statunitense al rovesciamento di Morsi potrebbe di conseguenza anticipare prossimi cambiamenti nelle alleanze che orbitano intorno alle crisi medio orientali i cui effetti potrebbero manifestarsi nel conflitto siriano e nei rapporti tra qatarini e statunitensi.

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