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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 12:18.

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(AP Photo)(AP Photo)

IL CAIRO - È una specie di regola del nuovo Egitto rivoluzionario: ad ogni vittoria di una parte politica corrisponde un "venerdì della rabbia" di quella opposta. Poco più di un anno fa in piazza erano i Fratelli musulmani contro il potere dei militari; poco meno di una settimana fa c'erano le opposizioni contro il governo della fratellanza; e oggi, tradizionale venerdì di lotta e di preghiera, tocca di nuovo al movimento islamico esibire il suo furore contro militari e opposizioni che lo hanno esautorato dal potere.

Alcuni lo chiamano "giorno della rabbia", altri "giorno del rifiuto": privati del loro vertice spirituale e politico - incarcerato, agli arresti domiciliari o in fuga – i Fratelli faticano a riorganizzarsi come hanno sempre saputo fare. Rabbia contro l'improvvisa repressione dei militari, esagerata per le colpe del movimento, che sono errori politici, non crimini; rifiuto di collaborare con il nuovo presidente a interim, l'ex capo della Corte costituzionale che li aveva invitati al dialogo e alla ricostruzione del Paese.

Come sempre, le manifestazioni sono previste nel pomeriggio: dopo Dhuhr, la principale preghiera di mezzogiorno e dopo che saranno passate le ore più calde della giornata. Aver separato la testa del movimento dal suo corpo potrebbe rivelarsi pericoloso. Il movimento è furioso, si sente, con una certa ragione, privato della sua legittimità popolare: al potere la fratellanza non era andata con un golpe ma con libere elezioni. La base continua ad avere una forte capacità organizzativa: come le opposizioni la settimana scorsa, anche loro possono mobilitare milioni di egiziani.

I Fratelli musulmani, tuttavia, non sono un movimento proletario di contadini e operai. E' principalmente un'organizzazione dalla militanza borghese: è fra gli avvocati, i medici, gli ingegneri, gli insegnanti che ha sempre raccolto il suo consenso. La sua roccaforte al Cairo è Nasr City, un quartiere a Sud, vicino all'aeroporto, sorto in questi ultimi 20 anni con i soldi dei professionisti e degli imprenditori egiziani che hanno fatto fortuna in Arabia Saudita e nel Golfo.

Sono i nuovi ricchi, una specie di maggioranza silenziosa conservatrice, religiosa, favorevole al libero mercato e contraria all'intervento statale. Esiste anche una Confindustria dei Fratelli musulmani, 300 piccole, medie e grandi imprese raccolte attorno all'Egyptian Business Development Association, guidato da Hassan Malek: l'uomo forte e in crescita del movimento, insieme a Khairat al-Shater. Di entrambi no si sa nulla, forse anche loro sono in carcere, forse alla macchia.

Non è una massa rivoluzionaria, dunque. Di tutti gli incontri e le interviste fatte con loro in questi anni, non si usciva mai con l'impressione di aver parlato con un estremista religioso ma con un dirigente democristiano. Forse era "dissimulazione", un imperativo dell'islam politico: nascondere agli altri le reali intenzioni. Ma in tempi di disordini come questi, non è difficile perdere testa e controllo. I pochi capi del movimento ancora a piede libero, insistono che quella di oggi è una mobilitazione pacifica; hanno istruito la base perché non vengano pronunciati slogan provocatori né si istighi alla violenza. L'accusa che i militari hanno usato per arrestare tutto il vertice del movimento.

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