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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2013 alle ore 08:35.

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Scilla (Marka)Scilla (Marka)

«A Scilla le cose non sono cambiate … ora ce ne sono tredici in carcere…perché adesso ci sono questi tredici in carcere che vanno aiutati». Chi – per conto della cosca Nasone-Gaietti – pronunciava queste frasi per convincere un'impresa a versare il classico "pizzo" per i lavori su un tratto della Salerno-Reggio Calabria, non sapeva che le cose a Scilla, una perla che si affaccia sul mare a due passi da Reggio Calabria, stavano davvero cambiando. Non però, per la cosca - che ne aveva ben 13 in carcere a causa dei colpi della Giustizia - ma per una parte, ancora minoritaria, della società calabrese.

Nell'operazione condotta dalla Dda di Reggio Calabria e non a caso chiamata "Alba di Scilla 3", gli aspetti repressivi (sono stati arrestati sette presunti affiliati al clan Nasone-Gaietti, tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione tentata e consumata e intestazione fittizia di beni) lascia presto il passo a quelli sociali. E' infatti lo stesso giudice per le indagini preliminari che ha firmato l'ordinanza, Barbara Bennato, a mettere nero su bianco che l'indagine «presenta tuttavia un dato assolutamente anomalo ed innovativo, costituito dalla collaborazione delle vittime/imprenditori e dalla loro determinazione a denunciare le richieste estorsive che coraggiosamente rifiutano di assecondare».

E poco oltre sottolineerà, con un linguaggio burocratico che «l'elevata attendibilità e l'intima coerenza del narrato dei dichiaranti vittime e/o persone offese, laddove il loro patrimonio cognitivo particolarmente qualificante si apprezza ancor di più avuto riguardo alla loro posizione di soggetti estorti e denuncianti, per avere loro direttamente subito i tentativi di estorsione, sotto il profilo della spontaneità della scelta, della costanza del narrato articolato in diverse escussioni, della coerenza delle dichiarazioni rese e della precisione e concordanza dei dettagli conosciuti, accompagnata dall'ammissione che alcune affermazioni siano piuttosto frutto di deduzioni logiche e non già di conoscenza diretta. Da ciò discende il complessivo giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca dei propalanti e da tale dato occorre muovere per proseguire in concreto nella valutazione della portata indiziaria delle dichiarazioni rese».

Dietro questo tortuoso linguaggio burocratico c'è il pieno riconoscimento che la ditta Calme Beton srl (società controllata al 100% dalla Calme Beton spa), che produceva e forniva calcestruzzo destinato alla realizzazione delle opere di ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, ha alzato un muro contro la possibilità di subìre danneggiamenti all'impianto e ai mezzi meccanici in uso presso il cantiere.

Come? Semplice: denunciando.
Alla denuncia si è giunti dopo un passaggio paradossale: un consulente della ditta per 13 mesi, a cavallo tra il 2011 e il 2012, aveva versato una tangente di 3mila euro mensili tenendo del tutto all'oscuro la proprietà. E' proprio lui a rivelarlo in un interrogatorio al quale sarà sottoposto il 4 giugno 2012: «Non ho mai rappresentato ai titolari della Calme spa, per i motivi di cui sopra,e della Calme Beton srl il fatto che versavo mensilmente la somma di euro 3.000,00 per la sicurezza del cantiere di Scilla; riuscivo a procurarmi con grande difficoltà la provvista necessaria a far fronte al pagamento mensile della predetta somma in contanti, ci riuscivo utilizzando il budget aziendale di cui disponevo - quale uomo di fiducia della proprietà - per le mie spese correnti (trasferte; vitto; alloggio etc)».

I «motivi di cui sopra» richiamati in quella parte di interrogatorio erano che non voleva coinvolgere «i titolari della Calme Beton srl e della Calme spa, i quali tra l'altro mi avevano più volte raccomandato di segnalare loro e denunciare eventuali richieste estorsive che avrei potuto ricevere presso il cantiere di Scilla; io pensavo e speravo di poter gestire autonomamente la questione, nel tentativo di portare avanti i lavori e salvaguardare l'integrità delle persone che lavoravano nel cantiere e dei mezzi ivi esistenti».

Speranza vana ma la successiva denuncia ai Carabinieri – ad opera della ditta – ha posto fine alla questione e ha ridato ossigeno a tutti coloro i quali vogliono spezzare il muro di omertà in Calabria. Non è un caso che il capo della Procura della Repubblica, Federico Cafiero de Raho abbia dichiarato: «Oltre alle tradizionali attività tecniche, vi è stata anche una collaborazione da parte degli stessi soggetti estorti, una sostanziale novità in un panorama sostanzialmente desertico, in cui la denuncia appare piuttosto che un fatto isolato, un fatto inesistente. La denuncia isolata espone chi la fa, la denuncia di tutti è una forma di protezione nei confronti della comunità. Questa è la regola che Confindustria, Confesercenti e Confcommercio dovrebbero seguire, perché la 'ndrangheta si batte, combattendo l'omertà».

Il gip Bennato – in sintonia – aveva scritto a pagina 13 dell'ordinanza: «Le attività tecniche di intercettazione sono state valorizzate dalle dichiarazioni testimoniali rese dalle vittime, rappresentando una formidabile occasione storico-culturale, che si auspica imitabile nel mondo dell'imprenditoria che opera sul territorio».
r.galullo@ilsole24ore.com

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