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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2013 alle ore 09:57.

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Lisbona riaccende la crisi europea - Ristrutturazione del debito in vista per Atene

È passato quasi anno dall'ormai famoso discorso di Mario Draghi a Londra, quello in cui - con i rendimenti dei titoli spagnoli e italiani saliti a livelli insostenibili - il presidente della Bce prometteva «tutto il necessario» per salvare l'euro. Dopo quelle parole e il successivo annuncio del piano Omt, l'eventuale acquisto di titoli di Stato di Paesi in difficoltà da parte della Bce, l'Eurozona ha vissuto nove-dieci mesi di relativa quiete.

Ora però torna la paura di non essersi lasciati alle spalle la crisi dei debiti sovrani, alimentata dai Paesi che per primi ne erano stati travolti - Grecia e Portogallo - o da nuovi focolai, come Slovenia e Cipro. Unico modello positivo, quasi àncora di salvezza per le speranze che l'Europa si possa salvare attraverso ferree politiche di austerity, rimane l'Irlanda, sul cui debito proprio ieri Standard&Poor's ha migliorato l'outlook.

L'ultimo allarme arriva da Lisbona, dove si è riaffacciato il rischio di crisi politica che sembrava scongiurato e dove il Governo ha chiesto alla troika dei creditori (Commissione Ue, Bce e Fmi) di rinviare a settembre la missione di verifica periodica che avrebbe dovuto prendere il via lunedì. Una richiesta giustificata, appunto, dall'attuale situazione politica.

Un passo indietro si impone. A lungo il Portogallo, a cui nel maggio 2011 sono stati accordati 78 miliardi di prestiti internazionali, è stato considerato insieme all'Irlanda l'allievo modello tra i malati d'Europa, impegnati a "meritarsi" gli aiuti attraverso rigorose politiche di austerity. Il risanamento dei conti tuttavia si è rivelato arduo, nonostante l'applicazione attenta delle misure concordate con la troika: il deficit, che nel primo trimestre dell'anno ha toccato il 10,6%, è lontano dal target del 5,5% fissato per il 2013, il Pil continua a calare (-2,3%), il debito è al 123%, la disoccupazione supera il 18 per cento. A complicare il quadro è arrivata, in aprile, una sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato alcune misure del governo, mettendolo di fronte alla necessità di rimpiazzarle con il prossimo budget di settembre.

Stretto tra misure sempre più impopolari e obiettivi sempre più irraggiungibili, il 1° luglio il ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, ha gettato la spugna. Il premier socialdemocratico, Pedro Passos Coelho, ha deciso di sostituirlo con una figura che portasse avanti con continuità le politiche di rigore, facendo esplodere però i malumori dei partner di maggioranza popolari, in calo di consensi. Il leader popolare, Paulo Portas, si è così dimesso da ministro degli Esteri, mettendo a rischio la sopravvivenza del governo. Tutto sembrava essersi risolto con un rimpasto, ma il presidente, Anìbal Cavaco Silva, non lo ha avallato e ha chiesto di più: un governo di unità nazionale, appoggiato anche dall'opposizione socialista, che guidi il Paese fuori dal programma di salvataggio, previsto per la primavera prossima, quando potrebbero tenersi nuove elezioni.

Su questo ora si sta trattando, con i socialisti che però hanno già fatto sapere - attraverso il leader Antonio José Seguro - che le condizioni del piano di aiuti da 78 miliardi vanno rinegoziate, allentando l'austerity. I mercati non hanno preso bene i nuovi sviluppi, con i rendimenti sui decennali in nuovo deciso aumento e l'ipotesi che Lisbona torni a finanziarsi autonomamente più lontana; il che significherebbe una nuova richiesta di aiuti, forse già in autunno, o quantomeno l'accesso a una linea di credito precauzionale.

Le altre nuvole all'orizzonte dell'Eurozona sono la Grecia, con un debito sempre più insostenibile e riforme che non decollano (si veda l'articolo in pagina), Cipro e la Slovenia. Il salvataggio e la ristrutturazione del sistema bancario cipriota hanno lasciato il Paese - aziende comprese - a corto di liquidità, l'economia si dovrebbe contrarre quest'anno dell'8,7%. Moody's sottolinea il rischio di default, non prevede ripresa fino al 2016 con un "rischio materiale" di uscita dall'area euro. A settembre la troika monitorerà il programma di salvataggio che però non sembra funzionare. La Slovenia, per far fronte alle necessità di un settore bancario in grave sofferenza, ha appena approvato un budget che porterà quest'anno il deficit al 7,9% del Pil, moltiplicando i timori che anche per Lubiana servano aiuti internazionali.

L'unica nota positiva è arrivata ieri dall'Irlanda, che pure secondo gli ultimi dati economici è tornata in recessione dopo quattro anni. Standard&Poor's, pur lasciando il rating sul debito invariato (BBB+), ha alzato l'outlook da stabile a positivo, stimando una discesa del debito più rapida del previsto. Anche se la domanda esterna rimane debole - sottolinea l'agenzia di rating - l'economia mostra segni di consolidamento, con un calo della disoccupazione e una ripresa dei prezzi delle case. Per Dublino - e forse per l'Europa - una boccata d'ossigeno.

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