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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2013 alle ore 12:05.

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Christopher Froome (Afp)Christopher Froome (Afp)

Eccoci qua, tra il trionfo e il precipizio, tra la grande impresa da mitizzare e la grande frode da temere. È il giorno del riposo al Tour numero cento, ma la schiacciante vittoria di Chris Froome, sulle sinistre rampe del Mont Ventoux lascia tutti col fiato sospeso e un retrogusto amaro.

Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza scriverebbe con ben altra autorità il vecchio Don Lisander che, pur non intendendosi di ciclismo, sapeva guardare nel cuore dei grandi uomini.
Certo sul Mont Ventoux è successo qualcosa di straordinario visto che, fino a sabato, quasi tutti i commentatori parlavano di un Froome alle corde, sempre più pallido e sempre più timoroso di perdere la maglia gialla dopo l'agguato nel vento di Contador sulle rive dello Cher.

Froome è bollito, dicevano tutti con un mezzo ghigno di soddisfazione. Guarda che faccia! Sembra un condannato a morte, altro che leader del Tour! Per non parlare di Sky, che veniva liquidata come una squadra allo sbando, orfana dei compagni migliori della maglia gialla.
Insomma, per Froome si paventava lo schianto. Con il Mont Ventoux pronto a dargli la mazzata finale tra i fantasmi sinistri della sua leggenda: il caldo atroce, la morte di Tony Simpson, e chi più ne ha ne metta.

Invece, succede il contrario. Chris, il keniano bianco, dà lui le mazzate. E che mazzate! Una corsa a ventre a terra con 49 orari nelle prime due ore e 41,7 al traguardo dopo aver scalato i 1912 metri del Monte Calvo.
Alcuni tecnici hanno calcolato una frequenza di pedalata da 116 a 120 al minuto, vale a dire due al secondo.

Un crescendo che, come lame rotanti, taglia le gambe a tutta la concorrenza. Froome, supportato da Richie Porte, il suo scudiero della Tasmania, fa il vuoto. Alla fine solo Contador e Kreuziger sembrano tenere il passo. Ma per poco. Perchè l'africano bianco, quando li vede dietro, se li scrolla via come mosche con un'ultima progressione che fa paura. Una sgommmata e via.
Perfino Quintana, l'indio colombiano, che era in fuga davanti, deve alzare bandiera bianca. La tappa doveva essere sua, ma Froom è spietato. E in surplus di energie si prende sia la vittoria che la maglia a pois. Alberto Contador si appesantisce di un altro minuto e 40" e Parigi è sempre più vicina.

Che dire? Tutto molto bello, tutto stupendo. Troppo stupendo. Froome, sul Ventoux, è andato perfino più forte di Lance Armstrong, un nome che non è una garanzia in fatto di trasparenza e pulizia. Un nome ingombrante che suscita brutti ricordi. Soprattutto in giorno come questo dove anche nell'atletica, scatta la ghigliottina del doping.

Dobbiamo ricordare quanti ordini d'arrivo sono stati cancellati al Tour de France? Quante maglie gialle sono diventate rosse di vergogna? Le sette di Armstrong (dal 1999 al 2005). E poi quella di Landis nel 2006. Senza dimenticare l'edizione del 2010 che fu tolta ad Alberto Contador. Dobbiamo ricordare Bjarne Rijs? E Jalabert? E Jan Ullrich? E tutti quei nomi del Tour '98 che, con i nuovi test, dovrebbero essere pubblicati alla fine del Tour?
Insomma, non è bello pensare male. Ma purtroppo, nel ciclismo, a pensar male, si fa peccato ma non si sbaglia quasi mai (ma non solo nel ciclismo).

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