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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2013 alle ore 14:24.

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Disoccupati, precari o, peggio ancora, totalmente inattivi. E' l'Italia del lavoro che non c'è, soprattutto per i giovani. «Quello di cui c'è bisogno veramente è una terapia shock.

Un'iniziativa forte che permetta di invertire la tendenza. E'un pò quello che stanno facendo il Governo e l'Europa con la Garanzia Giovani». Stefano Scarpetta, direttore del dipartimento del Lavoro e delle Politiche Sociali dell'Ocse, di fronte agli sconsolanti dati sull'occupazione italiana, in particolare giovanile, che emergono dal rapporto diffuso oggi dall'Organizzazione, mette in guardia dallo snaturare la riforma Fornero, di cui evidenzia i meriti e mette piuttosto l'accento sulla necessità di perseguire altre strade per rilanciare il lavoro, in primis con la ripresa economica e degli investimenti.

La riforma Fornero «è un passo nella buona direzione, anche se non un passo da gigante, a cui dovevano seguire altri passi. Se facciamo un passo in avanti e uno indietro, è peggio che non avere fatto nulla», sottolinea Scarpetta in un colloquio con Radiocor.

«I pilastri della riforma, la lotta all'utilizzo improprio dei contratti a termine e anche l'incentivo a convertire i contratti a termine in contratti duraturi sono punti che non toccherei.

Anche nell'emergenza attuale», spiega l'economista che ritiene preferibile insistere piuttosto «su forme di incentivo alla creazione di posti di lavoro attraverso l'apprendistato o sussidi alle imprese che creano occupazione giovanile». Sussidi che «non devono essere a pioggia, ma dati alle imprese che si espandono, ai giovani piu' svantaggiati».

Si possono «ritoccare elementi a margine della riforma», ma senza tornare indietro. «Perché ci siano dei cambiamenti nei comportamenti ci deve essere un minimo di certezza che la riforma è li' per durare. Se si infila l'idea che la riforma si può rimettere in discussione in qualsiasi minuto, nessuno cambia comportamenti». E nell'incertezza normativa, le imprese non investono e non assumono. Del resto, rileva Scarpetta, «non si può pensare che si fa una riforma in un periodo di difficoltà economiche e poi un'altra in un periodo di boom. Le riforme del lavoro dovrebbero durare un lungo periodo di tempo. Possono non rispondere nell'immediato alle esigenze del contesto economico e quindi la proposta di ridurre l'intervallo di tempo tra due contratti temporanei è assolutamente ragionevole. Però starei molto attento a rimettere in discussione la lotta all'abuso dell'utilizzo di alcune forme contrattuale, come le partite Iva false, i co.co.co».

La riforma Fornero ha anche il merito di avere ridotto, per la prima volta, la rigidità sui licenziamenti e se il relativo indicatore Ocse non registra in toto tale miglioramento (l'Italia resta tra i Paesi piu' `protettivi´ in materia) è perché la sanzione pecuniaria (24 mensilità) resta «tra le più alte dell'Ocse» (la seconda dopo la Svezia). Per Scarpetta, «nel tempo andrebbe ridotta».

Nell'insieme la riforma ha ridotto il `gap di protezione tra i vari contratti atipici e quelli a durata indeterminata e «nel tempo ridurra' la segmentazione del lavoro».

L'economista si sofferma poi sul problema dei ´Neet' (nè a scuola, nè al lavoro), uno dei fenomeni negativi che più caratterizzano e pesano sull'Italia: «riportare un giovane inattivo al lavoro è molto costoso, perchè sono andati persi anni di esperienza occupazionale e di contributi previdenziali. Non avere partecipato per anni al mercato del lavoro significa creare anche un esercito di pensionati poveri». Infine, un altro esercito, quello dei giovani precari. La percentuale italiana, balzata dal 26,2% dell'occupazione dipendente del 2000 al 52,9% del 2012, resta inferiore ad esempio a quella della Germania (53,6%), dove però la disoccupazione giovanile è all'8,1%, un quinto di quella italiana. «La Germania è un buon esempio: c'è una quota elevata di lavoro temporaneo, ma si tratta di apprendisti che fanno formazione. L'apprendistato è temporaneo per definizione, ma in molti casi sbocca in contratti a durata indeterminata.

In Italia, invece, sono contratti che sboccano sulla disoccupazione», è l'amara constatazione finale.

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