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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2013 alle ore 11:02.

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«Tutto il Viminale agli ordini dell'ambasciatore kazako», i segreti di una catena di comando zeppa di buchi, omissioni ed errori - La relazione del Viminale

Gli allegati alla relazione del capo della Polizia, Alessandro Pansa, fanno emergere se possibile una realtà ancora più grottesca e assurda sul comportamento dei nostri funzionari del Viminale sul caso kazako. Le responsabilità politiche del ministro dell'Interno, Angelino Alfano, sono oggi al vaglio del Parlamento con la mozione di sfiducia. Ma la sequenza della catena di comando attivatasi sulla vicenda, che va spiegata fino in fondo, fa emergere una serie di decisioni incredibili. È ormai chiaro che le pressioni dell'ambasciatore Andrian Yelemessov con il ministero dell'Interno sono state fortissime, oltre ogni misura accettabile. Yelemessov, dopo il primo blitz chiesto al capo di gabinetto Giuseppe Procaccini con tanto di visita nel suo ufficio, per catturare Mukthar Ablyazov, latitante ricercato da Interpol ma anche principale dissidente kazazo, torna da Procaccini il giorno dopo.

Il primo raid notturno della squadra mobile è fallito, Ablyazov non si è fatto trovare, e allora il diplomatico si ripresenta dal capo di gabinetto, chiede di cercare il latitante con un georadar nell'ipotesi che si sia nascosto in qualche cunicolo dell'abitazione di Casalpalocco a Roma. Anche la seconda perquisizione è infruttuosa. Ma scatta nel frattempo, come se fosse inesorabile e imprescindibile, la procedura di espulsione della moglie Alma Shalabayeva insieme alla figlia Alua, sei anni. Vediamo come si muovono tutti gli attori in campo. Il capo di gabinetto, per attivare il blitz - il primo è del 28 maggio - deve chiamare la Polizia. La poltrona del capo del Dipartimento Ps in quel momento è vuota - solo il 31 il Consiglio dei ministri nomina Alessandro Pansa - il vicecapo vicario è Alessandro Marangoni. La Ps, per la cronaca, ha altri due vicecapi: Matteo Piantedosi, con delega al coordinamento tra le forze dell'ordine e la pianificazione, che non c'entra nulla con un'operazione del genere e infatti rimane fuori; Francesco Cirillo, delega alla Criminalpol, che invece ha sotto di sé gli uffici italiani di Interpol, la Dac e lo Sco, che invece hanno un ruolo attivo come vedremo.

Procaccini il 28, per far presto, chiama Alessandro Valeri, capo della segreteria del Dipartimento Ps, un gradino appena sotto i vicecapi ma cuore pulsante del coordinamento operativo della Polizia di Stato in tutta Italia. Marangoni e Cirillo sono informati il 28 dallo stesso Valeri, come da prassi. Nel frattempo la macchina operativa è in moto. E la sera stessa del 28 la squadra mobile della questura, diretta da Renato Cortese, fa la prima perquisizione: poi si scoprirà che i kazaki era stati anche negli uffici della squadra mobile, le pressioni arrivano dappertutto. Il giorno dopo, il 29 maggio, Valeri contatta Gaetano Chiusolo: è il direttore della Dac, direzione anticriminalità, dipende da Cirillo, e ha sotto di sé lo Sco, il servizio centrale operativo, guidato dal questore Laura Pellizzari, che coordina a sua volta tutta l'attività di polizia giudiziaria delle squadre mobili in Italia. Chiusolo riceve un funzionario diplomatico kazako e lo passa alla Pellizzari, tutta la linea della Polizia è in fibrillazione. Con dei salti gerarchici inspiegabili perché, a quanto pare, il questore di Roma, Umberto della Rocca, viene appena sfiorato dalle informazioni. E poi, soprattutto, il quesito fondamentale è: quando la squadra mobile accerta la presenza della donna e della bambina, questa informazione risale la catena gerarchica della Polizia, dallo Sco fino ai vertici?

Nei fatti, accade l'irreparabile. Perché Alma Shalabayeva e sua figlia sono fermate, identificate e consegnate dalla squadra mobile alle procedure di espulsione in carico al funzionario delll'Immigrazione della questura, Maurizio Improta. Poteva la Polizia evitare di farlo? Secondo alcune fonti di polizia consultate dal Sole 24 Ore, sì: giustificando che la ricerca del latitante, visto che era così importante la sua cattura, sarebbe stata aiutata dalla permanenza sul territorio italiano di moglie e figlia. Invece tutto si declassa ufficialmente a una questione ordinaria, nessuno ne sa più niente, nessuno segue più la questione: sembra incredibile, ma questo è quanto dichiarano tutti i prefetti.

La stessa prefettura di Roma, che firma come da legge il decreto di espulsione, riceve solo le carte su Alma e non della figlia (che non è espulsa ma viaggia insieme alla madre) e non è informata di nulla, quindi non può che ratificare le carte dell'Ufficio Immigrazione. A sua volta Improta, a quanto sembra, sapeva del blitz ma non era stato informato di tutta la pressione montata. La procura di Roma, del resto, convalida le procedure di rimpatrio. La perla finale è l'imbarco di Alma e Alua su un volo sapientemente organizzato dai kazaki anche per evitare - si affrettano a dire i diplomatici - possibili attacchi di terroristi. Per la Polizia di Stato è una pagina nera.

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