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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2013 alle ore 06:42.

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Prima eravamo terrorizzati dallo Stato di Gheddafi, oggi temiano che lo Stato libico non esista più, diceva qualche tempo fa Hisham, un medico libico specializzato in Italia il quale faceva notare che dalla caduta di Gheddafi c'è stato un assassinio politico ogni 12 giorni. Eravamo alla vigilia delle dimissioni del presidente Mohammed Magharief, ex funzionario negli anni '70, costretto ad andarsene con le lacrime agli occhi per una legge sull'isolamento che puniva uno dei politici più onesti del Paese al quale il raìs aveva sterminato la famiglia. Oggi la popolazione è sempre più esasperata dalla presenza intimidatoria delle bande armate e un "vento egiziano" potrebbe scuotere anche Tripoli.
La contro-primavera araba in Libia non soltanto ha portato caos e instabilità ma sta facendo precipitare la produzione del petrolio, unica risorsa del Paese, crollata del 70% in un mese per disordini e scioperi in Cirenaica che hanno provocato la chiusura dei terminal a Ras Lanouf, Zueitina, al-Sedra e al-Hariga. I manifestanti, poliziotti reclutati anche tra i miliziani, reclamano gli arretrati dello stipendio e l'annullamento delle dimissioni del loro capo. Il ministro del Petrolio, Abdelbari al-Arussi, ha precisato che la Libia esporta oggi 330mila barili al giorno contro una media di 1,4 milioni degli ultimi mesi.
In Cirenaica e a Bengasi, come era facilmente prevedibile, si vive in un'altra Libia, sempre più agitata da assassinii politici, sommosse, islamismo e anti-islamismo, da un malessere diffuso e costante al quale non è certo estraneo lo storico separatismo rispetto alla Tripolitania. A Bengasi, da quando fu ucciso l'ambasciatore americano Chris Stevens, la presenza occidentale si è rarefatta fino a scomparire del tutto. Qui il 26 luglio è stato ucciso in un agguato Abdelsalam Al Mismari, avvocato e noto attivista laico, mentre una rivolta sostenuta dall'esterno nel carcere di Al-Kuwayfiyya permetteva l'evasione di oltre mille detenuti.
Di fronte agli eventi il premier Zeidan ha potuto solo minacciare di sciogliere il governo e nominare un nuovo capo di stato maggiore nel disperato tentativo di potenziare le forze regolari. Ma vive sotto il ricatto delle milizie - dotate di armi pesanti e carri armati - e delle stesse forze politiche: la friabile Alleanza nazionale di Mahmoud Jibril e gli islamisti della Fratellanza Musulmana, che dopo avere scelto una sorta di Aventino istituzionale hanno messo in guardia dal ripetersi di uno "scenario egiziano" in Libia, invocando lo spettro di un complotto ordito da lealisti del vecchio regime.
Per l'Italia l'ex colonia libica è un partner fondamentale, uno dei nostri principali fornitori di petrolio e di gas, legato dal cordone ombelicale del Greenstream ma anche da un secolo di vicende storiche e da una presenza delle imprese che nonostante il disordine è fondamentale per la ripresa del Paese. Al punto che gli Stati Uniti e l'Europa non sapendo bene che fare si sono affidati agli italiani nella labile speranza che aiutiamo i libici a rimettere un po' di ordine.

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