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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 19:12.

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Mercantili italiani, via libera alle guardie private. Ma solo se i maro' non bastano

Dopo due anni di dibattiti, appelli di Confitarma e non poche polemiche, gli armatori italiani possono finalmente proteggere con guardie private armate i mercantili in transito nell'Oceano Indiano e negli altri mari a rischio pirateria.

Il primo cargo battente bandiera italiana a salpare con a bordo i "security contractors" è il "Pan Uno" della società napoletana Augustea Atlantica, ma a svolgere il servizio di sicurezza sarà una società straniera, la britannica Triskel Service Limited, che da pochi mesi ha aperto una filiale a Roma, Triskel Risk Management srl, con l'obiettivo di penetrare nel nuovo mercato italiano fino ad oggi gestito esclusivamente dai Nuclei militari di protezione composti dai fucilieri della brigata San Marco della Marina Militare. La società britannica impiega al momento guardie provenienti da Paesi Ue ma non italiani anche se Triskel ha detto di voler procedere attraverso corsi di selezione e di formazione, alla preparazione di personale italiano specializzato.
La scelta di una compagnia inglese (ma guidata un management italiano) che eroga i suoi servizi secondo le norme comunitarie, colma per ora il vuoto dovuto all'assenza di aziende italiane specializzate nei servizi antipirateria. Le compagnie di sicurezza italiane lamentano però di essere escluse dal mercato a causa della mancanza delle norme che dovrebbero regolare il loro operato. La presenza di vere e proprie Private Security Companies (PSC) nazionali risulterebbe utile a offrire servizi di sicurezza non solo a navi e armatori ma anche alle tante società italiane impegnate nei diversi settori con cantieri, uffici e maestranze in molti paesi a rischio e che oggi acquisiscono questi servizi da PSC anglosassoni.

Del resto questo primo provvedimento autorizzativo, in attuazione della Legge 130/2011 e del D.M. 266/2012, non equipara i servizi di protezione marittima offerti dallo Stato e dai privati ma precisa che gli armatori potranno rivolgersi alle compagnie di sicurezza private solo se e quando la Marina Militare comunicherà di non essere in grado di offrire i servizi richiesti. I 4/6 team di marò resi disponibili per questa attività non sono infatti sempre sufficienti a far fronte alle richieste degli armatori. ''I transiti giornalieri di navi italiane nella zona a rischio tra Suez e l' Oceano Indiano sono circa otto" dichiara Carlo Biffani, presidente di Assosecurnav e direttore generale della Security Consulting Group di Roma. "Di questi, quattro sono coperti dalla Marina Militare e due effettuati da navi veloci che non hanno bisogno di protezione. Alle imprese italiane rimangono da disputarsi due transiti al giorno. Briciole, per le quali è difficile sostenere un approccio industriale con business plan che preveda investimenti in formazione, organizzazione e tutto il resto".

Ogni servizio di sicurezza per un transito in acque a rischio, che dura una decina di giorni, costa mediamente 25.000 - 30.000 euro, cioè 2.500 - 3.000 euro al giorno per tre /quattro operatori imbarcati. Una cifra simile a quanto gli armatori pagano per avere a bordo un team di sei militari del San Marco. Il mercato resta quindi saldamente in mano allo Stato attraverso la Marina Militare mentre lo spazio lasciato ai privati risulta interessante per società straniere già attive all'estero ma rischia di essere troppo ristretto per consentire la nascita e lo sviluppo di compagnie di sicurezza marittima italiane.
'Il paradosso è che si fa ricorso a imprese straniere perché il sistema privato nazionale non è pronto dal punto di vista normativo a fornire questo tipo di servizio e non lo è perché le norme necessarie non sono ancora state emanate'' spiega Biffani che considera la priorità accordata alla Marina Militare nei servizi di protezione sui mercantili "una distorsione che non trova eguali in nessun altro settore del commercio comunitario".

Drastica anche la valutazione di Antonio de Felice, consulente specializzato nell'analisi geopolitica e nel crisis management, per il quale ''all'origine di questa situazione paradossale, di uno Stato che esclude dal mercato nazionale le stesse aziende nazionali, c'è una legge completamente inutile e sbagliata. In due anni non si è riusciti ad applicarla, è troppo complessa, pretende di normare problematiche impossibili da definire in astratto e trascura o non chiarisce ciò che sarebbe necessario indicare. E' per questo che si è non ancora riusciti a fare il regolamento attuativo. Bisognerebbe prenderne atto, abolire la legge e ripartire da capo".
Il ricorso alle PSC nella lotta alla pirateria sembra del resto prendere decisamente piede e persino il governo somalo ha firmato un contratto con un'impresa privata per la creazione di un corpo di guardiacoste per rafforzare il suo controllo sulle acque territoriali e le loro risorse. La presidenza somala ha annunciato il 2 agosto di aver concluso l'accordo il ministero della Difesa somalo e la società olandese Atlantic Marine and Offshore Group per la fornitura di "organizzazione, mezzi e servizi" per dar vita a u corpo di guardia costiera. "Istituire un corpo di guardiacoste è fondamentale per stabilire lo Stato di diritto nelle acque somale e nella Zona economica esclusiva (Zee)", infestata di pirati e di navi che praticano la pesca illegale, ha spiegato il portavoce della presidenza somala, Abirahman Omar Osman, in un comunicato. Attualmente Mogadiscio non ha praticamente alcun controllo sulle sue coste e sulle sue acque territoriali in balìa di pirati e trafficanti.

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