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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2013 alle ore 07:42.

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Hiroshima, 68 anni dopo: il Giappone ancora diviso sul nucleare - Ora quanto manca all'apocalisse?

Ore 8.15 (1.15 ora italiana), mattinata a Hiroshima, 68 anni dopo: il monotono suono della grande campana della pace, provocato da alcuni discendenti delle vittime, dà l'avvio a un minuto di silenzio per commemorare le vittime della prima bomba atomica.

Circa 50mila persone nel Peace Memorial Park e delegazioni da un'ottantina di Paesi - compresi quelli che hanno armi nucleari, salvo la Cina - sono intervenute alla cerimonia, iniziata con la dedica del registro dei nomi dei sopravvissuti che sono deceduti nel corso dell'ultimo anno e chiusa con il canto corale della "Hiroshima Peace Song".
Il primo ministro Shinzo Abe è intervenuto sottolineando che il Giappone, come unica vittima dell'arma atomica, ha il dovere di battersi per un mondo senza armi nucleari. Ma poco prima dell'inizio del suo discorso, dall'area al di fuori del perimetro ufficiale della cerimonia, alcuni attivisti hanno cominciato a gridare slogan anti-nucleari dai megafoni, che hanno poi fatto da lontano ma udibile sottofondo alle parole di Abe.

Il premier è un deciso fautore della riattivazione di nuove centrali nucleari (attualmente sono in funzione solo due reattori su 50), benché da quella di Fukushima Daiichi - a quasi due anni e mezzo dallo tsunami - continuino ad arrivare notizie di fuoriuscite di radioattività. La muta presenza di Tamotsu Baba, sindaco di Namie (il paese vicino alla centrale che è ancora nella zona off-limits) ricordava il dramma degli sfollati, che sono ancora circa 100mila.

Abe ha dovuto sorbirsi anche l'accusa di incoerenza politica da parte del sindaco di Hiroshima: Kazumi Matsui, nella "Peace Declaration" ha biasimato che Tokyo abbia concluso un accordo sul nucleare civile con l'India, che è un Paese proliferatore: «Benché l'intesa promuova le relazioni economiche, probabilmente sarà da intralcio all'abolizione delle armi nucleari». Matsui ha chiesto al governo di rafforzare piuttosto i legami con i Paesi che cercano questa abolizione: «Al meeting ministeriale dell'Iniziativa per la Non-Proliferazione e il Disarmo nella prossima primavera a Hiroshima, speriamo che il Giappone faccia da guida verso un più forte regime NPT (Trattato di non proliferazione)».

Già: in aprile a Ginevra, nel contesto della Commissione preparatoria della Conferenza per la revisione dell'NPT, il Giappone non ha firmato - come hanno fatto 80 Paesi - lo statement che dichiara inumane le armi atomiche. L'argomento di Tokyo è stato che la sua firma sarebbe in contraddizione con la politica di sicurezza nazionale dipendente dall'ombrello nucleare americano. Comunque, il presidente dell'Assemblea delle Nazioni Unite, Vuk Jeremic (che aveva visitato il Giappone in precedenza nel marzo 2011, da ministro degli esteri di Serbia, partendo poche ore prima del terremoto), nel suo discorso ha evidenziato che una tappa importante sulla via del disarmo atomico sarà quella di settembre all'Onu, quando l'Assemblea prenderà in mano la questione. Il sindaco Matsui ha continuato ricordando l'iniziativa di 5.700 città (compresi i "Mayors for Peace, sindaci per la pace") per promuovere una nuova convenzione internazionale sulle armi nucleari , con l'obiettivo della loro abolizione nel 2020.

E ha parlato soprattutto del dramma degli "hibakusha" (le vittime dell'atomica), come monito e sprone verso il raggiungimento di questo obiettivo non impossibile (oggi sono ancora 201.700 circa le persone registrate in Giappone come hibakusha: età media 78,8 anni). «Raccomandiamo al governo nazionale di sviluppare rapidamente e attuare una politica energetica responsabile che ponga la massima priorità sulla sicurezza e il benessere delle persone», ha concluso Matsui, senza però sponsorizzare esplicitamente l'ipotesi della rinuncia del Giappone al nucleare civile.

L'ambasciatore degli Stati Uniti, John Roos - che era stato il primo responsabile diplomatico statunitense a Tokyo a venire a Hiroshima nel 2010 - era tra i presenti e andrà anche a Nagasaki venerdì prossimo per l'analoga commemorazione della seconda bomba atomica sganciata dagli americani: sono ormai i suoi ultimi atti ufficiali, prima di concludere la missione e lasciare la sede di Tokyo alla figlia di John Kennedy, Caroline, che sarà la prima donna ambasciatrice Usa in Giappone (i giapponesi hanno accolto con favore la nomina decisa da Obama, in quanto pensano che la sua modesta esperienza diplomatica e internazionale sarà compensata da un filo diretto con la Casa Bianca). La presenza dell'ambasciatore non intende certo sconfessare la decisione del Presidente Truman di far sganciare il "Little Boy": piuttosto - secondo il comunicato ufficiale - testimonia come gli Usa intendano «continuare a lavorare con il Giappone per far avanzare l'obiettivo del Presidente Obama di realizzare un mondo senza armi nucleari».

Se il sindaco Matsui ha elogiato la proposta di Obama alla Russia di avviare negoziati per una ulteriore riduzione dei rispettivi arsenali atomici, Roos ha potuto sentire una forte critica alla politica americana, quando il presidente del Consiglio Comunale di Hiroshima Noriaki Usui ha, in pratica, messo sullo stesso piano Washington, Teheran e Pyongyang. «Gli Stati Uniti continuano a attuare nuovi tipi di esperimenti nucleari e test atomici "sub-critical" e la Corea del Nord ha effettuato il suo terzo test nucleare, il che, assieme agli sviluppi del programma nucleare iraniano, mostra che il pericolo della proliferazione e uso di armi atomiche sta aumentando», ha detto Usui. Un rischio sempre più alto, dunque. 68 anni dopo Hiroshima.

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