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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2013 alle ore 06:38.

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Secondo la delega fiscale che ha appena terminato l'esame nel comitato ristretto della commissione Finanze di Montecitorio, l'Irpef dei Comuni dovrebbe sparire in nome del principio che vieta a più livelli di governo territoriale di chiedere soldi alla stessa base imponibile. Prima del suo futuribile tramonto, però, l'addizionale dei sindaci mostra parecchia vivacità. Termometro fedelissimo delle difficoltà dei conti locali, in questo 2013 ricco di punti interrogativi per i sindaci l'addizionale comunale ha ricominciato a schizzare in alto: 440 sindaci hanno già deciso ufficialmente un aumento rispetto all'anno scorso, ma in questa fase di grandi manovre c'è tempo fino al 30 settembre per chiudere i bilanci e il gruppone degli incrementi fiscali promette di aumentare decisamente di peso, imbarcando tante grosse città che stanno studiando i rincari o li hanno già praticamente stabiliti, e devono solo completare i passaggi ufficiali. L'anno scorso ad applicare l'addizionale sono stati 6.610 Comuni, che per questa via hanno raccolto 3,65 miliardi, con un aumento del 25% rispetto al 2011: a questi ritmi, la soglia dei quattro miliardi appare decisamente in via di superamento. Tradotto: l'addizionale Irpef vale quanto l'Imu sull'abitazione principale, anche se se ne parla molto meno.
Da Bressanone (dove si paga dall'1 al 4,5 per mille a seconda del reddito) a Isola Capo Rizzuto (8 per mille), gli incrementi dell'Irpef locale sono democratici, non conoscono confini fra Nord e Sud, non distinguono metropoli e piccoli centri e colpiscono sia i territori "ordinari" sia quelli ad autonomia speciale, dove i vincoli di finanza pubblica e gli aiuti delle Regioni offrono un po' più di respiro. A Milano sono già state ritoccate al rialzo di un punto le aliquote per i diversi scaglioni di reddito (al momento si paga da 33.500 euro in su, e si va dal 2 all'8 per mille), ma i conti sono un cantiere aperto e sul tavolo c'è l'ipotesi di portare per tutti la richiesta al massimo previsto dalla legge, 8 per mille, abbattendo la fascia di esenzione che salverebbe solo i redditi complessivi fino a 15mila euro. A Roma già oggi si paga il 9 per mille, cioè più del tetto "generale", ma il 4 per mille è girato allo Stato per ripagare gli aiuti anti-crack e non manca quindi chi ipotizza di far salire la quota locale, che in questo calcolo sarebbe "solo" del 5 per mille. A Brescia, Cremona, Venezia, Napoli, e Salerno l'aumento generalizzato al tetto massimo, accompagnato da una soglia di esenzione che in genere si ferma a 10-12mila euro (solo Napoli arriva a 18mila) è già una realtà, mentre altri sindaci provano un abbozzo di politica fiscale più "raffinata". A Bressanone, Piacenza ed Arezzo, per esempio, l'aumento delle richieste per i redditi più alti si accompagna a mini-sconti per quelli più bassi, e anche chi deve aumentare il carico per tutti prova qualche volta a farlo scaglionando le richieste.
Gli spazi di manovra, però, sono quelli che sono, e spesso l'effetto è più politico che pratico. A Reggio Emilia, per esempio, i redditi superiori a 28mila euro sono distinti in tre scaglioni fra il 7,8 e l'8 per mille, con una differenza quindi dello 0,1 per mille (un euro di imposta ogni 10mila di reddito, per intendersi) fra uno scaglione e l'altro. Da Saronno (Varese) a Sanluri (capoluogo del Medio Campidano, in Sardegna) i casi simili sono tanti, e spesso finiscono per offrire più complicazioni ai sostituti d'imposta che sconti effettivi ai contribuenti. Per gli sconti, del resto, non è aria, e anche le poche amministrazioni che imboccano questa strada lo fanno più per «dare un segnale» che per ottenere effetti economici reali. Il record per l'intervento "simbolico" può essere assegnato a Lucca: per i redditi fra 14mila e 15mila euro (quelli inferiori sono esenti), l'aliquota passa dal 6 al 5,9 per mille, e garantisce quindi agli interessati uno sconto da 1,5 euro all'anno: un cappuccino al bar. A Riccione, invece, il taglio d'aliquota è dell'1 per mille, ma basta a dimezzare la richiesta del Comune. Una scelta simile (passando dal 3 al 2 per mille) fu del resto fatta a Firenze nel 2012, e da allora il suo ricordo torna puntuale in tutti gli interventi pubblici di Matteo Renzi.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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