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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2013 alle ore 22:54.

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Rapina nella base degli istruttori italiani (disarmati) a Tripoli

Un gruppo di uomini armati kalashnikov è penetrato martedì mattina a Tripoli nella base degli istruttori militari italiani che addestrano le forze di sicurezza libiche. Fonti ben informate hanno riferito al Sole 24 Ore che l'obiettivo dell'intrusione, verificatasi alle 7, era limitato al furto di vetture, telefonini, denaro e altri oggetti di valore.

Gli uomini armati hanno minacciato alcuni militari italiani per fuggire con il bottino a bordo di due vetture blindate. Mezzi utilizzati dai 100 istruttori militari italiani che compongono l'operazione Cirene, varata a Bengasi durante il conflitto come consulenza alle forze ribelli e consolidatasi poi a Tripoli all'indomani della caduta del regime di Gheddafi per istruire le nuove forze di sicurezza locali.

Il Ministero della Difesa ha reso nota la notizia solo dopo le 20, con uno scarno comunicato, secondo il quale «alcuni malviventi armati si sono introdotti negli uffici in uso alla nostra missione militare di cooperazione e addestramento con le forze di sicurezza libiche, sottraendo vario materiale ed allontanandosi a bordo di due autovetture utilizzate dalla missione. Il pronto intervento delle forze di sicurezza libiche in coordinamento con il nostro personale - aggiunge il comunicato - ha consentito di individuare e fermare gli autori della rapina e di recuperare il materiale sottratto».

Il recupero della refurtiva sarebbe avvenuto solo in serata ma l'episodio conferma le difficili condizioni di sicurezza nelle quali operano i militari italiani a Tripoli in una missione circa la quale non sono mai stati diffusi molti dettagli. I militari dell'Operazione Cirene (finanziata nel 2013 con 7,5 milioni di euro che coprono i primi nove mesi dell'anno) vivono in una grande infrastruttura abbandonata dopo la guerra civile e protetta d guardie armate libiche.

Secondo quanto appreso si tratterebbe di guardie private, non di soldati o poliziotti, la cui affidabilità lascia non poco a desiderare se gli uomini armati sono potuti entrare e uscire impunemente dalla base senza venire bloccati né ostacolati. Del resto i militari italiani dell'Operazione Cirene non possono provvedere da soli alla sicurezza personale e della loro base perché sono disarmati, come previsto dall'accordo stipulato dopo il conflitto civile con il governo provvisorio libico che non ha mai accettato la presenza di militari stranieri armati sul suolo libico.

Gli unici militari italiani armati in Libia sono infatti i carabinieri del reggimento "Tuscania" posti a protezione dell'ambasciata. Una condizione inaccettabile considerato l'elevato rischio terroristico. Facile immaginare cosa sarebbe potuto accadere se a penetrare così agevolmente nella base italiana fossero stati terroristi di al-Qaeda invece di banditi.

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