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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2013 alle ore 22:54.

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Rapina nella base degli istruttori italiani (disarmati) a Tripoli

La pretesa libica di mantenere disarmati gli istruttori italiani stride inoltre con il più elementare diritto all'autodifesa e con il progressivo aggravarsi della situazione in tutta la Libia tra rivolte diffuse che stanno bloccando persino l'export di gas e petrolio, scontri tra milizie tribali rivali e attacchi dei gruppi islamisti salafiti e qaedisti.

Oggi a Tripoli manifestanti berberi riuniti hanno protestato contro la loro esclusione dalla stesura della Carta Costituzionale facendo irruzione nel Parlamento distruggendo mobili e documenti. Atti all'ordine del giorno nella capitale libica nonostante il dispiegamento di centinaia di soldati che dal 9 agosto presidiano il centro città.

A questa situazione, che vede almeno 200 mila miliziani armati muoversi liberamente per il Paese, si aggiunge una criminalità dilagante dovuta anche ai 14 mila malviventi evasi dalle carceri durante la guerra del 2011 e ancora a piede libero, come ha reso noto oggi il Ministero degli Interni di Tripoli. Le evasioni di massa continuano ad essere una regola nelle carceri libiche come quella del 26 luglio scorso nella quale oltre 1.200 detenuti sono scappati da una prigione di Bengasi.

La precarietà delle istituzioni libiche, che hanno ormai perso il controllo di gran parte del Paese, ha impedito finora di stipulare un accordo bilaterale più completo tra Tripoli e Roma che offra maggiori garanzie di sicurezza agli istruttori italiani. Fonti vicine agli ambienti della Difesa fanno notare l'assenza di interlocutori credibili libici con i quali discutere anche a causa dei frequenti rimpasti ai vertici politici e militari del Paese nordafricano.

A inizio agosto si è insediato il nuovo ministro della Difesa, Abdallah al-Thani, che ha preso il posto di Mohammed al-Bargathi, sollevato dall'incarico in seguito a violenti scontri avvenuti a Tripoli in giugno. Pochi giorni prima il colonnello Abdulsalam al-Obaidi era stato nominato generale di divisione e posto alla testa delle forze armate al posto del generale Salem Gnaidi, rimosso per aver fallito nel tentativo di sviluppare forze armate credibili e ferito subito dopo in un agguato nel centro di Tripoli.

L'impegno militare a sostegno della Libia, ribadito recentemente dal premier Enrico Letta in seguito alle pressanti richieste di Washington, ha visto anche la consegna di blindati Puma, uniformi ed equipaggiamenti alle forze di Tripoli. Roma si è impegnata ad addestrare in Italia 5 mila reclute libiche nell'ambito di un piano sostenuto dalla Nato che vedrà complessivamente 19.500 agenti e militari libici addestrarsi anche in Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti.

Un programma d'istruzione che si svilupperà fuori dai confini libici proprio per esporre istruttori occidentali agli attacchi di terroristi e miliziani. I Paesi coinvolti nell'addestramento puntano, in concorrenza con l'Italia, anche ad accaparrarsi il business delle commesse militari necessarie a riequipaggiare le forze libiche oggi prive di aeronautica e marina e con un esercito allo stadio embrionale. Un giro d'affari miliardario (se la Libia non collasserà) ma che non giustifica le precarie condizioni di sicurezza dei militari dell'operazione Cirene.

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