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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2013 alle ore 08:16.

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Non la si può chiamare ipotesi di mediazione: il governo sostenuto dai militari sta prendendo in considerazione la possibilità di mettere fuori legge i Fratelli musulmani. Se lo annunciano, non è un dubbio ma una certezza. Nessuno se ne stupisce perché da che è iniziato, questo scontro prevede solo un vincitore e un vinto: niente prigionieri né soluzioni a metà. Vincono i militari o vince il movimento islamico. Fine, quando ce ne sarà una. Intanto il Cairo si arrangia.

Ugo Tramballi
IL CAIRO. Dal nostro inviato
Si sveglia al mattino cercando di capire dove potrà essere la battaglia del giorno, cauterizza la zona e vive la sua quotidianità altrove. Piuttosto nervosa, non il solito caos creativo che porta sempre a qualcosa perché a dispetto delle apparenze ha una logica. Naguib Mahfouz, cairota puro, scriveva che «puoi dire se un uomo è intelligente dalle sue risposte e puoi dire se un uomo è saggio dalle sue domande». La gente per strada chiede a ragion veduta, ascolta le risposte di altra gente e stabilisce l'itinerario. O decide se alzare la saracinesca dell'officina.
È il respiro lento ma determinato di una metropoli da quasi 20 milioni di abitanti. Ormai non stupisce che dentro la moschea di al-Fath, nel centro della città, si barrichi un centinaio di islamisti e fuori la prendano d'assedio gli M-113, i mezzi cingolati dell'esercito camuffati di giallo per combattere nel deserto. È la battaglia di giornata, quella di ieri. Colpisce piuttosto che nonostante la grande tensione, a un paio di isolati la gente faccia tutto il possibile per vivere una normale giornata cairota. Si cambia la marmitta alla moto indonesiana ma costruita ad Assiut; qualcuno mette in mostra verdura che vende come fresca. Riaprono anche i caffè con narghilè in strada. Tutti pronti a chiudere se la battaglia cambiasse il suo itinerario.
Ma la battaglia c'è stata, anche se non si ha notizia di vittime: da come hanno sparato, sicuramente ce ne sono state. Il bilancio è solo oscurato dai 173 morti di venerdì, «giornata della collera» secondo i Fratelli musulmani; dalle centinaia o migliaia del 14 agosto; dallo stillicidio di vittime di due anni e mezzo di una Primavera che avevamo venduto per pacifica solo perché paragonata alla Libia e poi alla Siria.
Il campo di battaglia di ieri non era lontano da piazza Ramses, lo scontro del giorno prima. Proprio da venerdì più di cento islamisti si erano asserragliati nella moschea di al-Fath, pronti a resistere e a creare le premesse della battaglia del giorno seguente. Almeno all'inizio hanno avuto successo. Attorno alla moschea sono arrivati i mezzi blindati dell'esercito e i reparti speciali della polizia. Dietro di loro una folla di sostenitori civili del governo dall'aspetto poco raccomandabile: picchiatori da stadio, pesci pilota della balena militare messa in moto dal generale al-Sisi, pronti a raccogliere gli avanzi della caccia.

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