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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2013 alle ore 15:56.

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La videointervista di Napolitano al  Meeting di Rimini (testo integrale)

D. Signor Presidente, innanzitutto desidero ringraziarla per questa bellissima occasione che interpretiamo come un suo segno di amicizia, di stima per il Meeting che comincia oggi e che guarderà e che guarda intensamente all'Europa. Una Europa che, dopo una storia gloriosa di ideali e di inclusioni, oggi sembra però stanca e paralizzata, sembra non mancare quelle grandi visioni di senso che furono così tipiche nel mondo dei padri del dopoguerra o anche nel mondo scaturito dall''89. Di che cosa è malata l'Europa e, soprattutto, come può guarire?

Presidente Innanzitutto, vorrei inviare un messaggio di amicizia e di fiducia al vostro Meeting; penso ai giovani che affollano la grande sala di Rimini e auguro loro di dare il contributo che tutti ci attendiamo dalle generazioni più giovani per una nuova fase di sviluppo in tutti i sensi dell'Italia e dell'Europa. Di che cosa è malata l'Europa? La risposta più semplice sarebbe: è malata di mancato sviluppo economico e sociale, non riesce a crescere, sta perdendo velocità, competitività e questo è un dato fondamentale, questo è senza dubbio uno dei fattori fondamentali di crisi dell'Europa. Noi guardiamo al passato e vediamo un passato straordinariamente gratificante; però, attenzione, la crisi che viviamo in Europa, e che è parte di una crisi globale dal 2009, viene da lontano, comincia prima: una perdita di dinamismo dell'Europa è cominciata già parecchi anni fa, più o meno alle soglie del nuovo secolo e nuovo millennio, negli anni successivi alla nascita della moneta unica che non è stata responsabile di ciò, ma non ha potuto dare tutto l'impulso che era chiamata a dare in quanto sono mancati altri elementi fondamentali per garantire nuovo dinamismo alla crescita economica e sociale in Europa. Questo è, senza dubbio, il primo dato e io qualche volta amo dire che per alcuni decenni, più o meno fino agli anni '80, c'è stata una sorta di marcia trionfale dell'Europa unita. Ogni anno si cresceva, si viveva meglio, si conquistavano nuovi diritti, si aveva un maggior senso di unità. Quando entravano nuovi paesi a far parte dell'Unione conoscevano uno straordinario balzo in avanti: il caso della Spagna è un caso assolutamente clamoroso e, spesso, si trattava di paesi che entravano nell'Europa unita superando esperienze di dittature e quindi era un progresso non soltanto economico-sociale ma civile, politico e democratico.

D. Perché oggi c'è ancora bisogno di Europa e di quale Europa c'è bisogno?

Presidente In Europa siamo in difficoltà, e in parte integro anche la risposta di prima, perché non si è capito da troppe parti, certamente anche da parte dell'opinione pubblica, di molti dei cittadini ma soprattutto non si è capito abbastanza da parte delle classi dirigenti che il mondo stava cambiando e l'Europa non poteva rimanere ferma. L'Europa doveva fare i conti con questo processo di trasformazione che poi ha preso il nome di processo di globalizzazione ma è stato un processo di radicale cambiamento delle realtà e degli equilibri nel mondo. Oggi, perché c'è bisogno dell'Europa? Non c'è più bisogno dell'Europa per garantire la pace interna: questa non è soltanto una speranza ma credo che possa essere una convinzione fondata; però c'è bisogno di essere uniti e più integrati di prima perché altrimenti l'Europa rischia di essere sommersa dal processo di globalizzazione e di perdere peso in modo drastico e di avere una voce sempre più flebile, di non riuscire a esprimere i valori che un lungo patrimonio storico hanno inciso nella identità europea.

D. Cosa deve fare l'Europa per riguadagnare questa posizione, per non farsi sommergere dalla globalizzazione?

Presidente L'Europa deve innanzitutto avere più coscienza di sé, non deve mai dimenticare i presupposti del grande progetto europeo di Monnet, di Schuman, di De Gasperi, di Adenauer che erano presupposti di carattere storico-culturale, quali sono stati gli elementi fondamentali di una identità europea, di una cultura europea che si è costruita anche attraverso incroci molteplici. Ricordo che Papa Benedetto XVI parlava di una cultura dell'Europa nata dall'incontro tra Atene, Gerusalemme e Roma. Tutto questo si è molto attenuato, sbiadito nella consapevolezza - e poi quello che noi abbiamo dato allo sviluppo scientifico, tecnologico, produttivo e sociale del mondo - che il modello europeo è anche certamente qualificabile come modello di economia sociale di mercato ma è anche qualcosa di più, ricco come è, intriso come è di valori civili, di partecipazione, di fratellanza. Ebbene, questo dobbiamo capire che bisogna garantirlo al mondo di domani, bisogna evitare che questo patrimonio si sbiadisca e venga sommerso. Allora, dobbiamo riuscire a competere con paesi che sono cresciuti al di là di ogni previsione possibile soprattutto nel ritmo, nell'intensità e dobbiamo saper reggere le sfide che sono le sfide dell'innovazione, della competitività, della produttività e che sono le sfide di una rimodulazione efficace del nostro modello di economia sociale di mercato.

D. Anche perché nell'Europa di oggi sembrano prevalere invece tecnicismi, formalismi, relativismi per usare una parola che Papa Benedetto ha usato in tante occasioni.

Presidente I tecnicismi ovviamente prevalgono se si discute soltanto in termini di modifiche ai trattati o di nuovi accordi e di nuove regole. Tutto questo è parte essenziale di un processo di sviluppo dell'integrazione però oramai siamo vittime di un linguaggio che è diventato quasi un codice per iniziati. Ogni risoluzione o testo di conclusioni di Consiglio europeo sono lunghi documenti che richiederebbero una traduzione in linguaggio umano, in linguaggio comune, accessibile a tutti i cittadini.

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