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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2013 alle ore 06:43.

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Sarebbe paradossale «avvitarsi in questioni di politica interna» e far cadere il governo ora che la «terra promessa» della ripresa è vicina. Prima di tornare a Palazzo Chigi per un difficile e non risolutivo vertice serale con Angelino Alfano sulla questione dell'agilibilità politica di Silvio Berlusconi, Enrico Letta aveva lanciato da Vienna l'ennesimo appello alla responsabilità, usando una metafora biblica per difendere il suo esecutivo dai venti di crisi che soffiano da Arcore. «Il nostro Paese ha davanti grandissime opportunità – le parole del premier nella conferenza con il cancelliere Werner Faymann – confido nella responsabilità e nella lungimiranza di tutti».
Il premier non vuole proprio pensare a uno stop del governo, soprattutto ora che «l'Italia ha i conti in ordine e c'è la possibilità di raccogliere i frutti». L'orizzonte di Letta – e di Giorgio Napolitano, con il quale i contatti sono giornalieri – resta quello del semestre europeo a guida italiana (da giugno 2014). Il premier ha le idee chiare su come muoversi: «Voglio continuare la battaglia per contenere la disoccupazione giovanile, il cuore della presidenza italiana». Altro tema centrale, quello dell'unione bancaria «per evitare che i consumatori debbano pagare per gli sbagli delle banche, tutelare i risparmiatori e rendere il sistema bancario europeo più solido».
Nei suoi incontri pubblici Letta ostenta sicurezza e tranquillità, ma la preoccupazione per la tenuta del governo è fortissima a Palazzo Chigi. Anche perché i margini di manovra del premier sono praticamente assenti: come confermato nel faccia a faccia di martedì sera con il segretario democratico Guglielmo Epifani, il Pd non può permettersi alcuna azione di "salvataggio" nei confronti del Cavaliere e voterà compattamente per la decadenza nella Giunta per immunità, che si riunirà dal 9 settembre. Pena il suicidio. «Non si possono chiedere al Pd soluzioni da repubblica delle banane», è la posizione ribadita dal responsabile economico Pd, Matteo Colaninno. Né si può congelare per mesi la vicenda in Giunta – fanno trapelare da Largo del Nazareno anche in riferimento all'incontro di martedì sera tra Letta ed Epifani – in attesa del pronunciamento della Consulta come chiedono dal Pdl.
La mancanza di margini di manovra per il Pd è stata naturalmente ribadita ieri sera dal premier nel suo faccia a faccia con Alfano, suo vice nonché segretario del Pdl. Un confronto molto duro, e che ha confermato il gelo e la distanza tra i due sulla questione. Alfano – che aveva avuto il compito da Berlusconi di dare un aut aut di 10 giorni al premier – ha ribadito che «non è possibile che un partito resti dentro una coalizione quando l'altro partito della coalizione fa decadere il leader del partito alleato per un atteggiammento pregiudiziale, senza alcun approfondimento, senza dunque tenere conto del parere di illustri giuristi che esprimono dubbi sulla retroattività della norma Severino». Da parte sua Letta è stato fermissimo nel ribadire che non accetta né accetterà alcuna sovrapposizione dei due piani, quello del governo e della sua prospettiva di durata e quello del voto in Senato su una questione che «va affrontata in termini guiridici e non politici».

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