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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 08:16.

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Tony Abbott, candidato della Coalizione, durante la campagna elettorale (Ap)Tony Abbott, candidato della Coalizione, durante la campagna elettorale (Ap)

Delusione, indecisione e voto di protesta: l'Australia va alle urne in un clima di rigetto per la politica. A contendersi i favori dell'elettorato ci sono, come da tradizione, il Partito laburista (attualmente al potere) e la Coalizione (guidata dal Partito liberale). Ma a fare da capolino ci sono anche una miriade di piccoli partiti che potrebbero essere decisivi se il voto sarà spaccato come nel 2010.

Favorita è comunque la Coalizione, che guida le proiezioni con il 53,2% delle preferenze. Non tanto per il suo programma o per il suo leader, Tony Abbott, ma per la debolezza del partito avversario che negli ultimi anni è stato dilaniato da una serie di lotte intestine: nel 2010 e quest'anno ci sono stati due golpe interni che hanno portato alla fuoriuscita e poi al ritorno del premier Kevin Rudd. L'aspra campagna elettorale è stata dominata da temi economici e ambientali e dal problema dell'immigrazione clandestina.

I numeri. L'Australia va alle urne per eleggere il suo 44esimo parlamento. In gioco ci sono i 150 seggi della Camera e 40 dei 76 seggi del Senato. Alle precedenti elezioni del 2010, i risultati avevano generato una situazione di stallo, la prima nella storia australiana dal 1940. Le due principali compagini avevano ottenuto entrambe 72 seggi, un numero non sufficiente per guidare il Paese. È stato soltanto dopo frenetiche trattative che i Laburisti sono riusciti ad aggiudicarsi l'appoggio esterno dei Verdi e di tre deputati indipendenti e a creare un Governo di minoranza. Anche al Senato la bilancia del potere è stata nelle mani dei Verdi i cui 9 seggi sono stati vitali al Partito laburista che deteneva solo 31 voti contro i 34 della Coalizione. La grande varietà di piccoli partiti in campo, tra cui uno capeggiato dal pittoresco Clive Palmer, tycoon del real estate nella Gold Coast, potrebbero un'altra volta fare la differenza, se è vero che dal 10 al 14% dell'elettorato è ancora indeciso e il voto di protesta, secondo i commentatori politici, potrebbe essere in grande aumento.

Pessimismo ed economia. Entrambi i partiti hanno usato lo stesso concetto: cambiamento. Un mantra controproducente per i laburisti che sono al governo da sei anni. Il messaggio di Tony Abbott, 56 anni, cattolico tradizionalista e gaffeur seriale, è stato semplice ed efficace in un contesto di crisi economica internazionale: "Pensate di stare meglio di sei anni fa, quando il labor è salito al potere?". Rudd, 55 anni, ex diplomatico e insopportabile (anche per i suoi alleati) accentratore, ha cercato, non sempre con successo, di difendere l'operato dell'Esecutivo. L'Australia, va detto, è uno dei pochi Paesi occidentali ad essere riuscito a resistere alla crisi. La crescita nel 2013 è del 2,5%, l'inflazione è al 2,4% e la disoccupazione resta a livelli piuttosto bassi (5,7%). Il deficit, di 30 miliardi di dollari australiani, è la metà di quello degli Stati Uniti e il debito netto è solo un ottavo del prodotto interno lordo. Come ha recentemente ricordato il Premio Nobel Joseph Stiglitz, il Governo di Rudd ha realizzato «uno dei più massicci pacchetti di stimolo keynesiano al mondo, evitando la recessione e salvando 200mila posti di lavoro». Eppure nel Paese c'è un pessimismo generalizzato riguardo il futuro di cui i laburisti faranno probabilmente le spese. A creare questa pesante atmosfera è la fine del boom delle materie prime. La caduta della domanda da parte della Cina e un calo generalizzato dei prezzi hanno rallentato un business che rappresenta la prima voce dell'export australiano. E sono in molti oggi ad avere l'impressione che il Paese abbia messo "tutte le uova in un solo paniere", contando sui risultati di lungo termine di un'industria che oggi mostra di avere l'affanno. Con l'Australia «a un punto di svolta nell'economia nazionale», Rudd ha promesso nuove spese e stimoli che sostengano altri settori, come la manifattura, le costruzioni e il turismo. Dal canto suo Abbott ha detto che la Coalizione sosterrà la crescita imponendo all'Australia «di vivere secondo i propri mezzi». A pochi giorni dalle elezioni e poche ore prima del black out informativo pre-consultazione, ha proposto tagli per 42 miliardi di dollari, inclusi aiuti verso l'estero, pubblica amministrazione e sistema educativo. Cosí facendo, la Coalizione ha promesso di ridurre il debito di 16 miliardi entro il 2017.

La tassa sui superprofitti. Altro importante oggetto del contendere è stata la famigerata tassa sui superprofitti minerari. Ideata da Rudd e motivo della sua prima caduta politica, è stata rivista in termini più favorevoli per l'industria mineraria dal suo successore Julia Gillard e dal ministro del Tesoro Wayne Swan. Scattata nel giugno del 2012 , prevede un'aliquota del 22,5% sugli utili nel carbone e nei minerali ferrosi superiori a 75 milioni di dollari. La tassa è stata fonte di grande imbarazzo per i laburisti che avevano previsto ingenti extra-entrate per l'Erario, rivelatesi poi illusione in un clima depresso per le commodity. Se raggiungerà il potere, Abbott ha promesso di eliminare il balzello.

Ambiente. Il Partito laburista ha annunciato di voler anticipare il passaggio dalla "carbon tax" a uno schema di "emission trading" al 2014. Legato allo schema europeo, lo switch avrebbe lo scopo di allentare la pressione dei costi dell'energia sulle famiglie. La Coalizione abolirà la tassa in caso di vincita ed inaugurerà un "Direct Action Plan" quadriennale da 3,2 miliardi di dollari secondo cui agricoltori e industriali verranno pagati per ridurre le emissioni. Entrambe le compagini si sono impegnate a ridurre le emissioni di Co2 del 5% ai livelli del 2000 entro il 2020. I Laburisti si sono anche imposti un target del 20% di energia rinnovabile entro la stessa data.

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