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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 09:23.
comunità evangeliche e la Chiesa assira d'Oriente con due ramificazioni. «Ad Antiochia di Siria abbiamo ricevuto il nome di cristiani, a Damasco c'è stato il primo califfato dell'Islam; la comunità internazionale ha il dovere di aiutare questo Paese che ha per altro un'evidente importanza geografica: senza una forte solidarietà dall'estero sarà difficile che la Siria possa uscire da sola dalla crisi».
Più politico il punto di vista di Maria Saadeh, architetto cristiano e deputato dell'opposizione: «Non si può dire che il regime abbia protetto i cristiani in quanto tali piuttosto è lo stato laico che ha garantito i loro diritti, come è accaduto pure per le altre minoranze: un cambiamento di regime deve assolutamente preservare la natura secolare della repubblica siriana». Ma queste forse sono differenze sottili che l'Occidente ha difficoltà a cogliere, nonostante l'esempio di quanto è avvenuto nel decennio scorso nel
confinante Iraq. Qui i cristiani da un milione e mezzo che erano ai tempi di Saddam Hussein sono scesi a 200mila, un esodo passato quasi sotto silenzio anche da parte della Chiesa. «Se i cristiani dovranno lasciare la Siria siamo pronti ad accoglierli come profughi», è arrivato a dire nei mesi scorsi l'ex presidente francese Sarkozy al patriarca di Aleppo che non credeva alle sue orecchie.
La maggioranza dei cristiani, almeno qui a Malula e Sednaya, ha sostenuto l'alauita Assad, esponente di una setta musulmana che i sunniti considerano eretica. «Ha restaurato le chiese, è venuto a visitarci, è uno come noi», afferma un gruppo seduto davanti a una bottega che vende il vino locale. Sul distributore della Coca
Cola, in bella vista per visitatori e clienti, il proprietario ha incollato, una accanto all'altra, le immagini di una curiosa cosmogonia politico-religiosa: una foto del barbuto islamico sciita Nasrallah, capo degli Hezbollah, alleati di Damasco e di Teheran, una del generale cristiano libanese Aoun, amico degli sciiti, un'altra di Bashar Assad affiancata dalla riproduzione di due icone della Vergine Maria. Una contraddizione apparente che esprime però tutta la complicazione siriana e del quadro geopolitico mediorientale.
I siriani non credono che la diplomazia fermerà i massacri. La guerriglia vuole le armi per sconfiggere il regime, Assad non cede perché pensa di farcela con una repressione brutale. «Crede che Bashar vincerà?» chiedo a Maria Saadeh: «Questo stato fa acqua da tutte le parti ma ha consacrato per decenni metà del suo bilancio all'esercito e alla sicurezza, le forze di Bashar useranno tutte le armi che hanno».
Chi spera in una riconciliazione è padre Elias Zahlaoui, 80 anni, padre greco cattolico della chiesa melchita di Notre Dame de Damasque. «Abbiamo sempre vissuto tutti insieme, cristiani e musulmani, chi vuole dividerci sono le potenze che incoraggiano i gruppi radicali islamici. Ecco, vede, questo è l'appello che sto inviando
al presidente francese Francois Hollande».
Nel 2001, dopo l'11 settembre, padre Elias ha fondato un coro di 650 giovani cristiani e musulmani diventato famoso fuori e dentro la Siria. Lo sguardo si commuove quando mostra la foto di uno spettacolo dell'Opera di Damasco con Bashar al comando e la moglie Asma sorridente in mezzo alla corale: è il Natale 2010 ma sembra un
secolo fa.
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