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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 14:14.
L'ultima modifica è del 06 settembre 2013 alle ore 07:47.

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Siria, Russia e Cina contro il blitz americano - Usa evacuano consolati in Turchia e Libano - La solitudine di Obama

L'arringa è stata appassionata, secondo alcuni dei presenti alla cena dei 20 grandi di ieri notte in cui si è discusso praticamente soltanto di Siria. Barack Obama ha parlato di diritto, di rispetto delle regole internazionali, di bambini gassati, ha descritto le prove che inchiodano secondo l'America il regime di Bashar Assad. E ha distinto fra un attacco prolungato e un attacco mirato per punire una palese e grave violazione di trattati internazionali che fin dagli anni Venti proibiscono l'uso di armi chimiche in guerra. «L'America – ha detto – vuole solo un attacco mirato».

Ma le differenze in questa giornata del G-20 che si doveva occupare di economia e che è stata invece dominata dalla questione siriana restavano profonde anche in serata. L'America poteva contare solo su tre paesi decisamente schierati per l'attacco, la Francia, la Turchia, l'Arabia Saudita, per il resto le posizioni restavano vaghe anche perché Vladimir Putin continuava a rifiutare l'ipotesi di una risoluzione in seno al Consiglio di Sicurezza che contemplasse il Capitolo VII (che autorizza l'uso della forza). Il leader russo definiva «ridicolo» il pensare che gli attacchi chimici provenissero dal Governo di Bashar Assad e insisteva sulla tesi dell'attacco orchestrato dai terroristi. Certo non si è reso più ospitale nei confronti dell'America. Ha organizzato un benvenuto glaciale in onore del presidente americano: ad accogliere Obama all'aeroporto c'erano solo funzionari di terzo livello. E all'arrivo a Palazzo Costantino dove si è tenuta la seduta plenaria l'interazione fra i due è durata 15 secondi, il tempo per darsi la mano e un sorriso forzato.

Il "muro" russo di cui aveva parlato Obama mercoledì è rimasto intatto. Ma anche da Manuel Barroso e Herman Van Rompuy, intervenuti insieme in conferenza stampa in rappresentanza dell'Europa, alla prudenza giapponese, al distacco del presidente brasiliano Dilma Rousseff, alla vicinanza della Cina alle posizioni russe, Obama ha in effetti raccolto freddezza e sentimenti di preoccupazione.

Zhu Guangyao, il vice ministro cinese per l'economia, ha detto che dalla guerra vi sarà il pericolo di un contraccolpo economico e in particolare il pericolo di un forte aumento del prezzo della benzina. Anche Papa Francesco è entrato direttamente nel dibattito, scrivendo una lettera a Putin, in quanto presidente del G-20, chiedendo ai leader di trovare una soluzione che fermi gli «inutili massacri» a cui il mondo sta assistendo.
È toccato a Ben Rhodes, il numero due del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, difendere ufficialmente la posizione americana. A Papa Francesco ha detto: «La Chiesa Cattolica svolge il suo ruolo e apprezziamo il contributo al dibattito», ma questo non cambierà la posizione americana. Alle critiche europee che chiedono sanzioni e dialogo politico Rhodes ha risposto: «Abbiamo volumi interi di sanzioni e non sono serviti a nulla. È il momento di rispondere con un'azione militare. E lo faremo non appena avremo avuto l'ok dal Congresso. Per le armi chimiche è finito il tempo delle risoluzioni».

Da Pietroburgo Obama sta giocando contemporaneamente tre partite. La prima contro i suoi avversari a casa, la seconda contro gli antagonisti dell'America come la Russia o la Cina, la terza per convincere gli alleati a seguirlo. Ieri ha passato alcune ore al telefono con Washington per fare lobbying su deputati e senatori incerti. L'obiettivo è un voto favorevole al Senato e un voto bipartisan alla Camera. «Qualcuno - ha detto Rhodes - vorrebbe che l'America facesse un passo indietro da questo nostro ruolo di preservare il diritto internazionale e l'ordine globale con la forza se necessario. Ma è proprio questo che dobbiamo evitare, per il futuro del nostro Paese e per proteggere la sicurezza internazionale. Lo abbiamo sentito in Svezia: nessuno si sostituisce all'America quando c'è da passare all'azione».

LA POSIZIONE ITALIANA
La «comprensione» di Letta per la linea americana

Sul distinguo - no all'appoggio militare, sì all'appoggio morale degli Stati Uniti in caso di azione punitiva contro la Siria, il presidente del Consiglio Enrico Letta è partito con un'accelerata pro America per atterrare subito dopo sulla lettera di Papa Francesco che invoca la pace. Una contraddizione? Fino a un certo punto. L'esercizio più difficile a questo G-20 "siriano" è far sì che le cose si "tengano". E dunque Letta dice: «L'Italia non ha intenzione di strappare nei confronti dell'alleanza che riconfermiamo essere strategica con gli Stati Uniti». Per Letta il quadro giuridico italiano impedisce l'azione militare diretta, non necessariamente l'avallo dell'azione di un alleato. Subito dopo però ha ripiegato sulla soluzione "politica" (anche Obama la distingue da quella punitiva): «Io auspico - ha detto Letta - che la presidenza russa del G-20 usi tutte le armi a disposizione per trovare soluzioni positive anche in base alla richiesta di quella lettera che il Papa ha rivolto a tutti e che dobbiamo tutti assolutamento prendere sul serio». L'America rispetta il Papa. Ma, come ha detto Rhodes, Francesco rappresenta "solo" la Chiesa Cattolica. Fino a tarda notte eravamo a metà del guado: c'è da dubitare che, alla resa dei conti, si sceglierà una posizione apertamente a favore della Russia di Putin e contro l'America di Obama.

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