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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2013 alle ore 07:15.
L'ultima iniziativa (al momento) per bloccare il percorso di vendita all'asta della tenuta agricola di Suvignano a Monteroni d'Arbia (Siena) è andata in onda domenica scorsa. Il Comune di Monteroni, con la Regione Toscana, la Provincia di Siena, Arci Siena, a Libera Siena, Cgil e a Avviso Pubblico, hanno promosso una manifestazione, alla quale hanno partecipato un migliaio di persone, all'interno dell'azienda confiscata, che l'Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia vuole vendere con una base di 22 milioni.
Non è la prima volta – ma questa sembra decisiva – che si sente parlare della necessità di vendere quest'azienda agricola, 700 ettari che si sviluppano attorno alla vecchia villa di caccia risalente al 1800, di fronte al grande uliveto da cui ogni anno si ricava un olio di pregiata qualità (si vedano nel box i precedenti tentativi di messa all'asta). C'è persino una chiesetta sconsacrata all'interno di questa proprietà dove non manca proprio nulla, anche un paio di piscine immerse nel verde.
L'azienda produce cereali, ma ha nell'allevamento il suo punto di forza, con un gregge di oltre 2000 ovini e oltre 200 suini di razza "cinta senese" tipica ed antichissima nel territorio di Siena allevato allo stato brado. Si trova A 5 km dagli scavi etruschi, a 15 km da Montalcino, a 20 da Siena, e a 25 da Pienza, San Gimignano e Firenze.
Un paradiso terrestre da cui si gode una vista mozzafiato sulle crete senesi e che – testimone chi scrive che lo ha visitato più di una volta – viene curato da una coppia veneta trapiantata da decenni a Siena con un amore senza pari.
In questa proprietà – che è stata parzialmente trasformata in un agriturismo dalle sapienti mani dell'ex amministratore giudiziario palermitano Gaetano Cappellano Seminara – ha riciclato infatti parte delle sue immense fortune il costruttore palermitano Vincenzo Piazza. Qui risiedeva ad un certo punto della sua vita. Nel 1983 Giovanni Falcone, sospettando rapporti del costruttore Piazza con Cosa nostra, sequestrò i suoi beni, inclusa l'azienda agricola toscana, che gli furono poi restituiti. La tenuta agricola senese fu poi sequestrata nel '94 e definitivamente confiscata e dunque assegnata allo Stato nell'aprile 2007. Piazza – meglio noto come l'immobiliarista di Cosa nostra – fu arrestato proprio nella tenuta agricola di Monteroni dove, tutti, lo ricordano come una persona distinta, gentile ed affabile.
Dal 2007 questa proprietà attende di trovare una destinazione. Fin da subito gli enti locali si sono attivati presentando una concreta proposta per il riutilizzo sociale.
A gennaio è stato posto all'attenzione del Ministero dell'Interno un piano di valorizzazione economica e sociale, basato su agricoltura, filiera corta, energie rinnovabili e l'apertura di una scuola di legalità destinata ad accogliere giovani in sinergia tra la Regione Toscana, la Provincia di Siena, il Comune di Monteroni d'Arbia, Arci e Libera.
«Riteniamo che la scelta di vendere all'asta i beni confiscati sia un grave errore sia politico che culturale – si esprime Libera ma a pensarla così sono migliaia tra associazioni, magistrati antimafia, professionisti, politici di ogni colore, sindacalisti, sacerdoti e un'ampia fetta di popolazione -. Il riutilizzo dei beni è infatti il più importante strumento per sottrarre consenso alle organizzazioni criminali, riaffermare la legalità, creare opportunità di lavoro e sviluppo sociale. La vendita non garantisce tutto questo e, non si dimentichi, in essa è contenuto il rischio che i beni confiscati vengano di fatto restituiti ai mafiosi a cui sono stati sottratti».
Già, il rischio più grande è proprio questo. Ed è un rischio concreto ma la speranza è l'ultima a morire. Il viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico, secondo quanto ha riferito il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, «ha confermato la disponibilità a riconsiderare la decisione di mettere all'asta la tenuta di Suvignano».
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