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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2013 alle ore 08:42.

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ROMA
I renziani accusano i bersaniani e i lettiani, i bersaniani accusano i bindiani i veltroniani e anche i renziani, i "giovani turchi" tornano ad accusare bersaniani e lettiani. L'assemblea del Pd che ha avviato il percorso congressuale fissando – almeno su questo si è votato – la data dell'8 dicembre per le primarie finisce in un caos di accuse incrociate per le mancate modifiche allo statuto, in primis quella che avrebbe dovuto cancellare l'automatismo della coincidenza delle figure di segretario e candidato premier. «Vincitore? Oggi non ha vinto nessuno», è la sintesi dell'ex segretario Pier Luigi Bersani.
Ma procediamo con ordine. L'assemblea vota per prima cosa le proposte della commissione congresso, frutto di un faticoso compromesso tra le varie anime: le primarie si terranno l'8 dicembre e saranno aperte a tutti gli elettori senza preiscrizione; i segretari regionali saranno eletti dalla stessa platea aperta e non prima delle primarie nazionali come volevano i bersaniani ma dopo, entro il 31 marzo; a sostegno del candidato segretario può essere presentata una sola lista in modo da impedire il formarsi di "correnti" al seguito dei candidati; le candidature per la segreteria saranno presentate all'inizio del percorso, entro l'11 ottobre. Matteo Renzi può tirare un respiro di sollievo: quasi tutte le sue richieste sono state accettate, e la macchina elettorale può partire subito. Il sindaco di Firenze ha già in agenda la data del 4 ottobre per lanciare ufficialmente la sua corsa alla leadership del Pd. La città prescelta è Bari, nel Sud finora a lui ostile, in piena terra dalemiana. Le proposte della commissione congresso passano con 378 voti favorevoli su 476 voti, circa l'80%.
Ma quando si passa a votare le modifiche allo statuto proposte dalla stessa commissione congresso – oltre alla separazione delle figure tra segretario e candidato premier ci sono una serie di cancellazioni volte a snellire l'iter congressuale – spunta l'incidente che fa saltare il banco. Contro la modifica dell'articolo 3, e dunque per mantenere la coincidenza segretario-premier come per altro piacerebbe anche a Renzi, si impuntano la prodiana Rosy Bindi, il veltroniano Enrico Morando e il candidato Pippo Civati. A quel punto diventa chiaro a tutti che non ci sono i numeri: il quorum necessario per emendare lo statuto è di 471 sì. La proposta di mediazione avanzata dal bersaniano Davide Zoggia per non andare alla conta – si lasci stare l'articolo 3 e si renda permanente la deroga all'articolo 18 che consentì a Renzi di candidarsi contro Bersani – è però subito bloccata con forza dal lettiano Gianni Dal Moro. Alla fine, dunque, lo statuto resta così com'è: sarà la direzione di venerdì prossimo, 27 settembre, a fissare una volta per tutte tempi e regole.

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