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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2013 alle ore 08:55.
Dopo appena 154 giorni a Palazzo Chigi Enrico Letta è costretto a prender in mano il pallottoliere per capire se il suo Governo è arrivato – come tutto lascia supporre – al capolinea. Mentre alla Camera i numeri ci sarebbero, i riflettori tornano ad accendersi sul Senato, il ramo del Parlamento dove, per effetto di un sistema elettorale che assomiglia a una diabolica lotteria, le maggioranze sono sempre risicate. Al suo esordio, il 28 aprile, l'Esecutivo incassò a Palazzo Madama un'ampia fiducia, frutto della grande coalizione Pd-Pdl-Scelta civica arrivata dopo mesi di falliti tentativi da parte dei democratici: i sì furono 233, ben oltre il quorum richiesto.
Senza il Popolo della libertà, i numeri non lasciano scampo al governo: l'asticella è fissata a 161 (dopo la nomina dei nuovi quattro senatori a vita l'Assemblea è composta da 321 membri) e se si sommano i senatori del Pd (108), delle Autonomie (10) e di Scelta civica (20) si arriva appena a 137 (il presidente del Senato tradizionalmente si astiene). Ventiquattro in meno di quelli richiesti. Fine della storia e subito al voto, dunque? No, almeno a sentire alcune voci che si sono levate ieri. Come quella del viceministro Stefano Fassina. «Non si andrà a elezioni perché troveremo una soluzione in Parlamento: sono sicuro che in Parlamento c'è una maggioranza in grado di evitarlo».
Nella caccia ai numeri mancanti il primo posto dove si va a guardare è il gruppo misto: lì ci sono per esempio cinque senatori a vita che potrebbero dare il loro supporto a Letta per non far morire il Governo. Un aiuto utile ma non risolutivo (siamo a 142). Sempre nel gruppo dei "senza gruppo" ci sono quattro ex esponenti del Movimento 5 Stelle potenzialmente non sfavorevoli a una prosecuzione dell'Esecutivo. Un atteggiamento che può contagiare qualche loro ex collega grillino? «Qualche Scilipoti ci può essere anche nel Movimento 5 Stelle, qualcuno che aiuti a formare una nuova maggioranza di governo per restare attaccati alla poltrona» mette le mani avanti il capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera Riccardo Nuti. Quanti? «Ci potrebbe essere una fuoriuscita di dieci voti» è la sua previsione. Che, anche se si avverasse, non permetterebbe comunque al Governo di incassare la fiducia: si arriverebbe infatti "solo" a 157 sì.
Non resta, perciò, che capire quello che bolle nella pentola del Pdl & associati. Tra cui è compreso "Gal" (Grandi autonomie e libertà), gruppo che raccoglie senatori provenienti da Grande Sud e Mpa (cinque), "in prestito" dalla Lega (due) e dal Pdl (tre). Dieci voti da cui potrebbe spuntare l'"aiutino" all'Esecutivo. Ma a muovere il pallottoliere potrebbe contribuire anche qualche dissidente del Pdl, poco incline a lasciare il proprio posto al Senato dopo appena cinque mesi.
Molti "se". Forse troppi per considerare lo scenario plausibile. C'è un'alternativa alle urne immediate. L'ha indicata Nichi Vendola, leader di Sel (sette senatori): «Non dico no a un governo Letta bis» ha affermato il governatore pugliese. Ma solo per «trovare in questo Parlamento le forze disponibili per cambiare il Porcellum».