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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2013 alle ore 11:35.

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Quando 13 anni fa nelle librerie di mezzo mondo (o almeno del mezzo mondo consumista occidentale) fece la comparsa "Confessions of shopaholic" molte donne si riconobbero in Becky Bloomwood, la giornalista inglese protagonista della fortunatissima saga, perseguitata dai direttori delle banche che cercano invano di farle coprire quelle voragini nel conto corrente che ha aperto a colpi di strisciate di Visa e Mastercard per accaparrarsi scarpe, borse e orecchini.

E se a Becky Bloomwood alla fine va anche bene (si sposa con un uomo che nel portafogli ha una Black, mica una Oro), alle donne normali che entrando in un negozio dilapidano lo stipendio per un paio di Manolo (Blanick), cercando in quegli stiletti la compensazione di una angoscia, le cose vanno parecchio peggio.

Quello che sembrava, fino a pochi anni fa, un fenomeno, anche buffo, di costume è diventato a tutti gli effetti una malattia, una nuova dipendenza, al pari di quella dal gioco d'azzardo. È lo shopping compulsivo e, secondo i dati diffusi dall'Ausl di Bologna, ne soffre il 3% dei residenti nel capoluogo emiliano. Allargando lo sguardo sul resto dello stivale (parola, stivale, mica scelta a caso da chi scrive) le cose vanno anche peggio: ad essere vittima della mania degli acquisti è il 5% della popolazione e, tanto per dar ragione ai luoghi comuni, il 75% è femmina.

La sindrome, parente stretta della disposofobia (la mania dell'accumulo), è per molti aspetti figlia del nostro tempo, come conferma il neurologo romano Rosario Sorrentino: «Si tratta di un disturbo del controllo degli impulsi - spiega Sorrentino -. In sintesi il solo entrare in un negozio e pensare di poter acquistare qualcosa fa sentire chi ne soffre momentaneamente felice e appagato. In realtà la sensazione che prova dipende dalla produzione di dopamina (un ormone rilasciato dall'ipotalamo, collegato con la sensazione di appagamento). In breve tempo però l'euforia svanisce e al suo posto compaiono angoscia e senso di colpa, emozioni che richiedono di nuovo una compensazione che si trova in un nuovo acquisto».

Insomma un circolo vizioso, ma se ne può uscire: «Con una terapia cognitivo comportamentale adeguata - aggiunge Rosario Sorrentino - unita all'uso di farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina si possono ottenere risultati soddisfacenti. Alla base di questa dipendenza, infatti, così come di altre analoghe, stanno disturbi depressivi o ansiosi che si manifestano comperando oggetti inutili o giocandosi un patrimonio in gratta e vinci o videopoker».

Morale: se il numero di scarpe possedute è superiore a quello dei soldi in conto corrente le soluzioni sono due. O ci si sposa con un uomo Black (e distratto) o, ed è la soluzione migliore, ci si ferma a riflettere sul perché si crede che un paio di scarpe in più possa riempire il vuoto che si sente. Trovata la risposta si è già un passo avanti (in tacco 12) verso la guarigione.

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