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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2013 alle ore 09:54.

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La Serbia sull'orlo della bancarotta: anche a Belgrado arriva l'austerity

«Se non faremo qualcosa tra due anni saremo in bancarotta». Il ministro delle Finanze serbo, Lazar Krstic, ha annunciato ieri una serie di misure di austerity «pesanti ma necessarie» che assieme ad alcune riforme strutturali - dalle privatizzazioni, alle pensioni, alle leggi per facilitare l'attività delle imprese e gli investimenti dall'estero - dovrebbero permettere alla Serbia «di invertire la rotta, risollevarsi, riconquistare la fiducia degli investitori ed evitare il default». Almeno nei piani del governo di Belgrado. E con il sostegno del Fondo monetario internazionale e di alcuni prestiti bilaterali che il Paese sta negoziando.

Un tecnico per l'austerity
Krstic, 29 anni e una laurea a Yale negli Stati Uniti, ha lasciato la sua carriera alla McKinsey accettando due mesi fa di entrare come tecnico in un governo sostenuto dai socialisti e dai conservatori del Partito progressista. Dice di non avere niente da perdere e di non avere voti da conquistare: «Sono stato chiamato per rimettere in ordine i conti pubblici del Paese e - afferma - è quello che voglio fare». La manovra decisa dal governo serbo e illustrata da Krstic prevede di ridurre il deficit del Paese balcanico al 2% dall'attuale 7,5% del Pil, nei prossimi tre o quattro anni, e di tagliare la spesa pubblica di 1,5 miliardi di euro da qui al 2017 cercando di stabilizzare il debito, salito al 60% ma previsto (se non si interverrà) sopra il 75% del Pil già nel 2017. «Dobbiamo evitare il default», ripete Krstic, per fare capire a tutti - dentro e fuori i confini nazionali - che la situazione è ormai critica.

I tagli e le tasse
Sono quattro i provvedimenti principali approvati dal governo guidato dal premier socialista Ivica Dacic e dal vicepremier, il leader dei conservatori, Aleksandar Vucic. Il primo riguarda l'aliquota Iva dell'8% che verrà alzata al 10 per cento per i beni non essenziali. Il secondo taglierà gli stipendi nel settore pubblico, che conta circa 700 mila dipendenti, a partire dal 2014: chi guadagna oltre 60mila dinari mensili (poco più di 520 euro) si vedrà ridurre lo stipendio del 20%, per chi ha un salario di oltre 100mila dinari (poco meno di 880 euro) il taglio sarà del 25 per cento. Krstic - in una riunione del Consiglio dei ministri eccezionalmente aperta alla stampa e trasmessa in diretta tv - ha fatto notare che gli stipendi nel settore pubblico sono fra il 30% e il 35% più alti che nelle società private.
Verranno inoltre sospesi i sussidi alle imprese pubbliche che sono ormai in perdita irreversibile e che «non possono più essere sostenute dai fondi pubblici». E si cercherà, questo il quarto punto, di recuperare una quota di entrate dall'economia sommersa che copre un terzo del prodotto interno lordo serbo, con particolare attenzione al mercato del tabacco e dei combustibili.

Economia ancora fragile per l'Fmi
L'economia serba con un Pil di 28,7 miliardi di euro vale un decimo di quella greca ed è lontana anche dai 44 miliardi di euro della vicina Croazia. Il Paese è in via di ricostruzione e ha appena avviato il processo per entrare a far parte dell'Unione europea. Secondo gli esperti del Fondo monetario, che proprio ieri hanno concluso la loro missione nel Paese, «la situazione economica resta fragile con una modesta ripresa dell'1,5% attesa per il 2013, supportata dall'agricoltura e dalle esportazioni di automobili». Con Fiat che ad un anno dall'inizio della produzione a Kragujevac della 500L risulta di gran lunga il maggior esportatore dalla Serbia nei primi nove mesi di quest'anno: per un totale di 1,13 miliardi di euro si colloca infatti davanti alla compagnia petrolifera nazionale Nis con 206,5 milioni di euro, e a Tigar Tyres con 184,3 milioni di euro.

L'Fmi ricorda «il deficit elevato», «il tasso di disoccupazione al 25%» ma sottolinea anche «i passi importanti e nella giusta direzione» che il nuovo governo ha annunciato, richiamando la «necessità di sostenere gli aggiustamenti di bilancio con un'ampia azione di riforme strutturali». La ripresa del dialogo con il Fondo monetario così come gli accordi bilaterali - appena siglato quello con gli Emirati Arabi Uniti «per un prestito complessivo di 2-3 miliardi di dollari entro la fine del 2014» - rendono più credibile la svolta di Belgrado. Che andrà comunque verificata passo dopo passo.

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