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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2013 alle ore 11:58.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2013 alle ore 21:57.

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L'Aula del Senato ha approvato fra le polemiche il ddl costituzionale che istituisce il comitato parlamentare dei 42 per le riforme costituzionali. Approvazione a maggioranza assoluta sul filo di lana, per soli 4 voti: 218 i sì. Il quorum richiesto alla Costituzione per le modifiche della Carta pari ai due terzi dei componenti dell'assemblea era 214. Contro hanno votato 58 senatori di M5s e Sel. Si sono astenuti 12 senatori.


Lo strappo dei 'falchi' del Pdl
Undici senatori pidiellini si astengono senza comunicare il loro dissenso al capogruppo Renato Schifani e altri si assentano dall'Aula. Le 'colombe' del Pdl, Gaetano Quagliariello in testa, hanno tirato un sospiro di sollievo solo all'ultimo momento gridando al tradimento. Nel mirino i 'falchi' azzurri, che avrebbero studiato a tavolino lo strappo, mettendo a serio rischio la tenuta dell'esecutivo Letta senza preavviso e tenendo all'oscuro il Cavaliere. La 'colomba' Roberto Formigoni non ha dubbi: «Chi si è assentato e gli 11 senatori che si sono astenuti senza avvertire nessuno volevano far cadere il governo. Noi, invece, vogliamo l'unità del partito attorno a una linea politica chiara e netta, quella indicata da Berlusconi il 2 ottobre scorso: vale a dire, fiducia a Letta fino alla primavera del 2015». Tre senatori del Pdl, Augusto Minzolini, Francesco Nitto Palma e Ciro Falanga, si astengono in dissenso dal loro gruppo perchè non viene affrontato il tema della riforma della giustizia. Si è astenuto anche il senatore del Pd, Corradino Mineo, anche lui in dissenso dal suo gruppo. Per quattro voti, dunque, e con l'apporto determinante della Lega viene scongiurata la crisi di governo sulle riforme. È stata la seconda lettura al Senato: per l'approvazione era sufficiente la maggioranza assoluta, ma per evitare un possibile referendum, il ddl doveva passare con i due terzi dei voti dei senatori.

Il ddl passa all'esame di Montecitorio

Il ddl passerà ora all'esame di Montecitorio, per la seconda lettura prescritta dall'articolo 138 della Costituzione per entrambi i rami parlamentari. «Per portare il Paese fuori dalla crisi c'è assolutamente bisogno delle riforme che sono attese da trent'anni. Il bicameralismo perfetto è ormai qualcosa di intollerabile e ha grandi costi», ha detto il ministro Quagliariello replicando, nell'aula del Senato, alle critiche del Movimento Cinque Stelle.

Saranno 42 i componenti
I componenti del comitato saranno in tutto 42: venti senatori e venti deputati nominati dai presidenti delle Camere su indicazione dei gruppi parlamentari, più, di diritto, i due presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato cui é affidata congiuntamente la presidenza dell'organismo bicamerale.

Prima riunione entro 10 giorni dall'entrata in vigore della legge
Il comitato dovrà riunirsi al massimo entro 10 giorni dall'entrata in vigore della legge. Il Parlamento avrà 18 mesi per procedere all'esame dei progetti di legge in materia di riforme. Il comitato dovrà approdare a un testo di revisione dei titoli I, II, III, V della seconda parte della Costituzione per quanto riguarda la forma stato, la forma di governo, il bicameralismo, gli enti locali (quindi anche, eventualmente, la questione province). Potranno essere rivisti anche altri capitoli della costituzione ma solo se le modifiche saranno «strettamente connesse».

Sulla legge elettorale il Comitato potrà elaborare solo una proposta di riforma del sistema di voto a regime
Sul fronte della legge elettorale il comitato potrà occuparsene esclusivamente se sarà «conseguente» al nuovo assetto istituzionale. In pratica, il comitato potrà elaborare solo una proposta di riforma del sistema di voto a regime, senza impedire che, nel frattempo, le commissioni Affari costituzionali, si occupino dei ritocchi al Porcellum con una legge 'ponte' o di 'salvaguardia' in caso di elezioni anticipate. «Sarebbe un'altra caporetto della politica se fosse la Consulta a cambiare la legge elettorale. Se si fallisce, credo che il governo, con tutte le cautele, debba intervenire», ha detto il ministro delle Riforme Quagliariello.

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