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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2013 alle ore 16:48.
L'ultima modifica è del 24 ottobre 2013 alle ore 08:10.

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Servirà un processo per accertare se davvero, come pensa la Procura, Silvio Berlusconi e Valter Lavitola abbiano corrotto Sergio De Gregorio, convincendolo a passare da Italia dei Valori a Forza Italia per dinamitare la già fragile maggioranza di centrosinistra a Palazzo Madama durante il Governo Prodi nel 2006. Il Cav e l'ex direttore dell'Avanti sono stati, infatti, rinviati a giudizio quest'oggi dal gup Primavera in relazione alla presunta compravendita del senatore dipietrista che ha chiesto, e ottenuto, invece, di patteggiare venti mesi di carcere. Il processo inizierà l'11 febbraio davanti alla IV sezione del Tribunale di Napoli.

L'inchiesta è partita nel gennaio di quest'anno con le dichiarazioni spontanee di De Gregorio, già arrestato per gli illeciti finanziamenti al quotidiano socialista l'Avanti in combutta proprio con Lavitola. Ai pm titolari del fascicolo (Woodcock, Vanorio, Piscitelli, Curcio e Greco) De Gregorio ha raccontato di essersi letteralmente venduto al centrodestra in cambio di una robusta "stecca": gli atti giudiziari parlano di tre milioni di euro, due dei quali – dice De Gregorio – sarebbero stati pagati in nero e uno soltanto regolarmente registrato, presso la Presidenza della Camera, come contributo elettorale di Forza Italia al suo neonato movimento, Italiani nel mondo. Nel corso dei suoi interrogatori, De Gregorio ha puntato l'indice contro l'ex socio (e amico) di un tempo, Valter Lavitola, indicandolo come il soggetto cui l'ex Premier aveva demandato il compito di regolare i pagamenti. Sia nel corso dell'istruttoria che in una dichiarazione spontanea di questo pomeriggio, l'ex giornalista ha però ribadito la propria estraneità ai fatti, riconducendo le consegne di denaro a De Gregorio alla restituzione di un prestito tra i due. Una motivazione che non ha convinto comunque il giudice dell'udienza preliminare che ha deciso di affidare al dibattimento l'accertamento di eventuali ipotesi corruttive.

Con il patteggiamento, De Gregorio (difeso dall'avvocato Carlo Fabbozzo) esce di scena dal filone nel quale comparirà, sicuramente, come principale teste d'accusa insieme agli altri big della politica italiana chiamati, in questi mesi, a raccontare ai pubblici ministeri napoletani ciò che accadde durante il secondo Gabinetto del Professore. È probabile che, all'ombra del Vesuvio, saranno chiamati a testimoniare Romano Prodi, Gianfranco Fini, Anna Finocchiaro e Antonio Di Pietro. I loro verbali sono già stati acquisiti al fascicolo, anche se bisogna sottolineare che nessuna delle deposizioni ha in realtà acceso un faro sull'ipotesi accusatoria. Tutti hanno sostenuto di aver avuto la sensazione che qualcosa, nel centrodestra, bollisse in pentola ma prove dirette (a parte generiche promesse di emissari di Forza Italia) sono finora mancate. D'altronde, anche la prova del passaggio di denaro tra Lavitola e De Gregorio, nei tempi e nella misura indicati dall'ex dipietrista, è assai difficile da provare dal momento che, proprio nell'affaire Avanti, i due avrebbero movimentati, insieme e separatamente, qualcosa come una trentina di milioni di euro.
Non è passata, dunque, la linea difensiva del Cav (rappresentato in aula dal penalista Michele Cerabona, non presente però al momento della lettura della sentenza da parte del gup) che si era imposta in occasione della richiesta, da parte della Procura, di giudizio immediato a carico degli imputati, e questo perché secondo il gip mancava la prova che il passaggio di De Gregorio dal centrosinistra al centrodestra fosse la "controprestazione" per il pagamento della tangente; trattandosi – nel caso dell'ex senatore – di un soggetto politico da sempre legato agli ambienti di Forza Italia. I legali di Berlusconi, nella loro arringa, hanno oggi ribadito che il reato di corruzione non si configurerebbe perché non esiste, per i parlamentari, il vincolo di mandato. Il gip Cimma, nel rigettare la richiesta di giudizio immediato, nel marzo scorso aveva sostanzialmente sposato questa valutazione ma il giudice dell'udienza preliminare Primavera ha inteso, invece, rimandare al contraddittorio tra le parti i confini e le definizioni di una vicenda assai complessa dal punto di vista tecnico. Nella quale Berlusconi viene indicato come l'ispiratore di una campagna acquisti nelle austere sale di Palazzo Madama per sabotare un Esecutivo democraticamente eletto.

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