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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2013 alle ore 15:52.
L'ultima modifica è del 27 ottobre 2013 alle ore 16:24.

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Porcellum o Porcellinum? Matteo Renzi sale sul palco della Leopolda a godersi il suo bagno di folla dopo tre giorni di lavori e affronta il tema politico centrale, quello della legge elettorale, con la consueta ironia. Ma poi va al sodo e avvisa i naviganti del Pdl ma anche del Pd, che in Senato hanno lavorato a una bozza sul modello spagnolo riveduto e corretto con tanto di "premietto": «Diciamo le cose semplici: la legge elettorale che funziona è quella dei sindaci. Dove dai a uno il compito di rappresentarti, e se funziona bene. Se no, va a casa. Non ci sono inciuci».

Mai più larghe intese
La legge elettorale deve avere per il segretario in pectore del Pd tre caratteristiche: alla fine si sa subito chi ha vinto; chi ha vinto deve avere i numeri in Parlamento per governare con una maggioranza autonoma (e questo, ad esempio, non è accaduto in Germania con Angela Merkel, quindi il sistema tedesco non va bene); colui che governa è responsabile per 5 anni e se non governa bene va a casa. «Mai più larghe intese, mai più giochini sulle spalle degli italiani – scandisce Renzi tra gli applausi – e questo non vuole dire essere contro il governo perché quello che dico io lo dice anche Enrico Letta. Noi dobbiamo essere i custodi dell'alternanza».

Sì al doppio urno di coalizione
Ma che cosa vuol dire sistema dei sindaci, oltre al fatto che si elegge direttamente il responsabile del governo? Tradotto dal renziano al politichese, Renzi mette il suo mantello protettivo sul sistema D'Alimonte-Violante: si tratta della ormai nota proposta di riforma elettorale con eventuale ballottaggio tra le prime due liste o coalizioni di liste che è stata proposta anche dai 35 saggi nominati da Letta nella loro relazione finale sulle riforme. Ossia un sistema a base proporzionale, con soglia di sbarramento al 5% e preferenze, in cui si prevede appunto il doppio turno tra le prime due liste o coalizioni di liste se nessuno raggiunge la soglia del 40 o 50 per cento. Un sistema in effetti molto simile a quello che dal 1993 si usa per eleggere i sindaci.

Stop ai tentativi di inciucio
Un disegno di legge in tal senso, con alcuni correttivi volti a coinvolgere anche altri gruppi (come Scelta civica e Sel) sarà presentato dai deputati renziani alla Camera nella prima settimana di novembre. L'obiettivo politico è chiaro, ed è il primo vero atto politico di Renzi da (quasi) segretario del Pd: togliere l'iniziativa sulla legge elettorale al Senato, dove la trattativa in commissione Affari costizionali stava virando verso un modello ispano-tedesco che – come dimostra il caso della Merkel – lascia sul campo la possibilità delle larghe intese.

Prima la riforma elettorale, poi la Costituzione
E a chi gli contesta che occorre prima riformare la Costituzione per fare una legge elettorale coerente e intanto accontentarsi di piccoli aggiustamenti al Porcellum per prevenire la bocciatura da parte della Corte costituzionale prevista per il 3 dicembre, Renzi risponde picche: «Nel momento in cui il presidente del Consiglio è indicato sulla scheda ed è scelto direttamente dagli elettori – dice – ha la forza sufficiente per poter governare». Certo, la Costituzione va cambiata. E Renzi indica nel superamento del bipolarismo perfetto e nella riduzione del numero dei parlamentari l'obiettivo di medio periodo del suo Pd (in questo senso rilancia anche, citando il ministro Graziano Delrio, il tema dell'abolizione delle Province). Ma in attesa di cambiare la Costituzione va fatta subito una riforma elettorale che funziona. La legge dei sindaci, appunto. Il sottinteso del ragionamento renziano sulla legge elettorale è evidente, anche se Renzi non lo dice: piuttosto che fare un papocchio che costringa ancora alle larghe intese allora meglio tenersi il Porcellum. «Tanto il Pd di Renzi con il Porcellum vince», come ha detto dal palco della Leopolda il politologo Roberto D'Alimonte.

La leadership e le bandiere
Alla Leopolda, in questi tre giorni, si è respirata molta voglia di urne e molta insofferenza per le larghe intese. Ma Renzi è convinto che il Pdl alla fine non staccherà la spina al governo, se non altro per paura, e si prepara al passo lungo del segretario. Ma la sua è una visione da partito maggioritario alla Veltroni: il leader del partito è anche il prossimo candidato premier. Il Renzi della Leopolda parla al Paese e non al partito. Da qui, anche, la contestata assenza di bandiere in questa tre giorni («meglio i voti delle bandiere»). «Sbaglia chi pensa che uno solo possa risolvere i problemi, dopo i disastri che sono stati provocati, ma non bisogna avere paura della parola leadership – avverte Renzi -. Lo dico a tanti nel Pd: leadership non è una parolaccia».

La riforma della giustizia
Quanto al Pd prossimo futuro, Renzi fa capire che ci saranno delle novità. È ora di riformare la giustizia, annuncia. «È l'ora di finirla con chi ha pensato la giustizia ad personam. La storia di Silvio ci dice che dobbiamo fare la riforma della giustizia…». Platea attonita: come, la storia di Silvio? Eccola: «La storia di Silvio Scaglia. Scaglia affittò un volo privato per andare dai magistrati, e si fece arrestare. Da quel momento, 3 mesi di carcere e 9 mesi ai domiciliari. Dopo 12 mesi fu liberato. Poi giudicato innocente. Ma vi sembra normale che noi in questi 20 anni abbiamo parlato di giustizia dedicata ad uno solo, e che un cittadino innocente venga messo in galera?».

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