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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2013 alle ore 19:27.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2013 alle ore 07:43.

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Truppe italiane in Afghanistan in calo progressivo a meno di 2 mila unità con il ritiro della task force che fino a oggi presidiava la provincia di Farah. Gli ultimi bersaglieri del 6° reggimento hanno infatti lasciato in queste ore la provincia più calda del settore occidentale afghano lasciando sulle spalle delle truppe di Kabul la sicurezza di una provincia che vede un'elevata presenza talebana e una crescente densità di coltivazioni di oppio.

La base avanzata "Dimonios", situata a fianco del piccolo aeroporto di Farah City, è cresciuta a partire dal 2006 ospitando un numero crescente di forze italiane inclusi reparti elicotteristici e distaccamenti di forze speciali della Task force 45. La base italiana è sorta all'interno di un complesso militare statunitense nel quale erano presenti reparti sanitari, d'intelligence e forze speciali incluso un dirigibile dotato di sensori in grado di "vedere" anche di notte i movimenti talebani in una vasta area circostante la base e di intercettare le comunicazioni.

In quella provincia gli americani hanno curato anche la realizzazione di infrastrutture a uso civile ma la sicurezza è stata affidata alle truppe italiane fino al giugno di quest'anno, quando le autorità afghane hanno assunto la leadership di tutte le operazioni. Il ritiro italiano da Farah, ufficializzato con una cerimonia il 27 ottobre, ha coinciso con la conclusione delle attività condotte in quel settore dalle forze alleate.

Il generale Michele Pellegrino, comandante delle forze alleate nell'Ovest afghano (Regional Command West) e della brigata meccanizzata Aosta ha ricordato "i rapporti consolidati di reciproco rispetto maturati nel tempo con i colleghi afgani, con l'orgoglio di lasciare nelle mani di una forza matura il controllo, la sicurezza e lo sviluppo della loro madrepatria".

In realtà il battaglione afghano della Seconda brigata di fanteria (207° Corpo) dispone di truppe e armamenti ben inferiori agli 800 uomini guidati dal colonnello Mauro Sindoni alla testa del 6° reggimento bersaglieri rafforzato dai genieri del 4° reggimento di Palermo e da altre componenti specialistiche. A fronte dei mortai pesanti, dei blindati Lince, dei corazzati Dardo e del supporto elicotteristico schierati dagli italiani gli afghani a Farah dispongono solo di pochi mezzi di trasporto leggeri.

Negli ultimi due mesi le truppe italiane hanno effettuato 106 pattuglie, 30 scorte convogli, 33 controlli degli itinerari, 34 operazioni di scoperta e neutralizzazione degli ordigni esplosivi improvvisati che i talebani piazzano lungo le strade e numerose attività congiunte con esercito e polizia afgana. L'ultima grande operazione militare condotta congiuntamente da italiani e afghani risale a inizio ottobre ed è pianificata per la prima volta dal comando afghano con l'obiettivo di colpire i talebani e garantire un periodo di relativa tranquillità alle forze locali dopo il ritiro degli italiani.

Entro fine mese i bersaglieri cederanno agli afghani anche la base avanzata Tobruk situata a Bala Boluk, ultima base Nato nella provincia di Farah e postazione strategica sulla Ring Road, la principale strada afghana che da quelle parti collega Herat a Kandahar. Entro un mese rientreranno in Italia quasi mille militari dall'Afghanistan dove le forze rimanenti da dicembre saranno concentrate solo nelle basi di "Camp Arena" a Herat e "La Marmora" a Shindand .

Proprio intorno a quest'ultima base, nella quale sono schierate anche forze americane, si sono intensificate nelle ultime settimane le azioni talebane contro le truppe italiane. Secondo quanto riferito dal Comando italiano di Herat in due occasioni sono stati lanciati razzi contro la base che non hanno provocato danni o vittime. Nessun ferito tra i paracadutisti del 183° reggimento Nembo (veterani del fronte afghano con alle spalle due turni semestrali di missione a Bala Murghab) neppure nella battaglia del 20 ottobre in cui molti talebani sono stati uccisi dopo aver attaccato una pattuglia italiana ad appena cinque chilometri da Shindand.

Gli attacchi in questo settore sembrano dimostrare che il progressivo ritiro italiano dal sud e le limitate capacità delle truppe afghane consentono ai talebani di portare la minaccia sempre più a nord verso le basi italiane ed Herat.

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