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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 13:49.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2013 alle ore 23:29.

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L'Aula del Senato sarà chiamata a esprimersi con voto palese sulla decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di parlamentare a seguito della condanna per frode fiscale: è questa la decisione della Giunta per il regolamento che è tornata a riunirsi stamattina dopo la caotica seduta di ieri (sospesa, poi ripresa in notturna e infine aggiornata a stamattina).

Decisiva è stata la posizione di Linda Lanzillotta (Scelta civica) che ha deciso di esprimersi a favore dello scrutinio "trasparente" sommando il suo voto a quelli di Pd (tre, il presidente Pietro Grasso per prassi non vota), Movimento 5 Stelle (due) e Sel (uno): sette sì al voto palese contro i sei no di Pdl, Lega, Gal e Karl Zeller (Svp). «Quello sulla decadenza di Berlusconi - ha detto la senatrice centrista - non sarà un voto sulla persona, ma sul suo status di parlamentare. Pertanto non sarà necessario il voto segreto».

Tempestiva e dura la reazione del Pdl. «Si fa molto peggio che cambiare il regolamento - scatta per primo Renato Schifani - lo si interpreta a uso e consumo del Pd per colpire con assoluta certezza Silvio Berlusconi. La giornata di oggi non potrà non avere conseguenze. Daremo risposte concrete con il massimo della determinazione». La decisione della giunta ha una prima conseguenza: il Cavaliere, fortemente irritato per la prospettiva del voto palese, annulla il pranzo in programma con Angelino Alfano (che aveva incontrato ieri sera) e gli altri ministri del Pdl. Riceve invece a Palazzo Grazioli prima i capigruppo, Schifani e Renato Brunetta, poi i cosidetti "falchi" Sandro Bondi e Denis Verdini.

Nel Pdl si riapre così il duello tra "lealisti" e "filogovernativi". Raffaele Fitto, capofila dei primi rinnova la sfida agli avversari interni: «Nel confermare la mia e nostra vicinanza al presidente Berlusconi e ai nostri elettori, mi chiedo: che altro deve succedere? Tutto è ormai chiaro. Non è più il tempo delle finzioni e delle false promesse, ma della vera lealtà ai principi della democrazia, dello stato di diritto, alle nostre idee, e a una storia ventennale che non possiamo accettare di vedere trattata come un romanzo criminale». Ancora più esplicita Daniela Santanchè: «Oggi al Senato è stata uccisa la democrazia. Come fa ancora qualcuno a sostenere nel nome della falsa stabilità che questo governo serve al Paese? Cosa c'è di più importante per un popolo se non la democrazia e lo stato di diritto? Che i nostri "governativi" ce lo spieghino».

Dal canto loro i ministri dettano alle agenzie commenti a difesa del Cavaliere, anche se Alfano farà passare qualche ora prima di intervenire. «Pur di eliminare Berlusconi dalla vita politica, cosa che peraltro non avverrà, e non riuscendoci per via elettorale, si fa strame di tutto senza rendersi conto del precedente che si crea e delle sue gravi conseguenze per la democrazia in questo paese» dice Maurizio Lupi (Infrastrutture). Gli fa fa eco Gaetano Quagliariello (Riforme): «Credo che la decisione della giunta di oggi sia una decisione molto grave perché attenta a un principio del parlamentarismo, cioè quando c'è un voto che riguarda le persone è il momento in cui il ricorso al voto segreto deve essere possibile». Quella della giunta è per Beatrice Lorenzin (Salute) «una decisione assurda che va contro le prerogative parlamentari, contro il buonsenso, la ragionevolezza, contro il senatore Silvio Berlusconi e contro l'interesse degli stessi italiani». «Belle dichiarazioni di facciata» è il commento graffiante di Sandro Bondi che amaramente aggiunge: «Fanno bene a trattarci così, perché non dimostriamo alcuna fede politica autentica e nessuna vera convinzione». Quindi solo in serata arriva il sigillo del vicepremier che denuncia «la violazione del principio di civiltà che regola, da decenni, il voto sulle singole persone e i loro diritti soggettivi» e annuncia «in sede parlamentare, lì dove si è consumato questo sopruso» una «battaglia per ripristinare il diritto alla democrazia».

Un flusso ininterrotto di reazioni a difesa del Cavaliere di fronte alle quali il segretario del Pd Guglielmo Epifani chiede «rispetto e comprensione per la scelta della Giunta». «Basta polemiche- aggiunge - che vanno oltre ogni limite. La legge Severino è una legge perfettamente costituzionale che va applicata, così come è avvenuto nei trentasette casi precedenti. Si abbassino quindi i toni e si ricordi che la giustizia deve essere uguale per tutti».

Ora spetterà alla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama inserire nel calendario dell'aula la votazione sull'ex premier: quella approvato ieri arrivava fino al 22 novembre e non lo prevedeva, mentre era stata respinta la proposta del M5S di fissare il voto per il 5 novembre. Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato, incalza: «Sarà una data prossima, abbiamo fatto passare già troppo tempo». E ostenta sicurezza sull'impatto che la scelta avrà sulla maggioranza di grande coalizione: «Non temo una crisi di governo - dice l'esponente democratico - e penso che sarebbe un grave errore istituzionale e politico».

Ma la lettura che arriva dalla parte del Pdl più vicina al Governo Letta è allarmata: di «operazione politica trasversale di coloro che vogliono il voto anticipato, confidando nella vittoria della sinistra» parla Maurizio Sacconi. D'accordo con lui Fabrizio Cicchitto che avverte: «L'ultima cosa che il Pdl può fare, pur condannando questa prevaricazione, è quella di cadere in una trappola di questo tipo».

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