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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 15:47.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2013 alle ore 11:33.

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La Libia, principale fornitore di petrolio italiano, è un paese sull'orlo del caos. La tanto sospirata primavera araba, non è mai arrivata dopo la fine del regime di Gheddafi, ormai più di due anni fa. Il Governo centrale è debolissimo e non ha più il controllo del territorio. Le milizie spadroneggiano e da tre mesi controllano gran parte dei terminal petroliferi e dei giacimenti, condizionando la produzione di greggio e di gas che è al 30-40% delle possibilità. La produzione di greggio è scesa da 1,4 milioni di barili al giorno a circa 600 mila al giorno. Il blocco si traduce già in miliardi di dollari di mancati introiti per il governo libico e le compagnie petrolifere straniere. Anche Lampedusa e i suoi problemi dipendono direttamente da questa situazione di incertezza: i barconi di trafficanti di uomini partono dalle coste libiche quando e come vogliono. L'episodio avvenuto qualche settimana fa del sequestro per qualche ora del premier Ali Zeidan, che è stato rapito dai miliziani davanti al suo albergo in centro a Tripoli, nonostante la presenza delle guardie del corpo, è stato l'ultima azione dimostrativa dei miliziani, quasi una beffa per il potere politico. Un episodio che testimonia l'incapacità del governo attuale di garantire la sicurezza del paese.

Proprio per la mancanza di sicurezza diverse major petrolifere sono state costrette a bloccare o a limitare comunque fortemente la produzione di greggio e di gas. L'Eni da qualche giorno è stata costretta a interrompere il gasdotto di Wafa. Sabato scorso un gruppo di miliziani berberi ha occupato il terminal di Mellitha e ora minaccia di chiudere del tutto Greenstreem, il gasdotto che porta il gas in Italia, passando da Gela. La società americana Marathon Oil sta considerando di lasciare la Libia: vuol vendere tutte le sue partecipazioni nella società libica Waha Oil Company, che ha una produzione di 350mila barili di petrolio giornalieri: i cinesi affamati di materie prime, che non hanno significativi investimenti in Libia, sarebbero già pronti a farsi avanti. Sulla decisione annunciata di Marathon Oil di lasciare le ricche riserve petrolifere, molte ancora inesplorate, ha pesato il blocco che dura ormai da luglio di Es Sider, il principale terminal petrolifero del paese. L'uscita di scena della major Usa segue quella di ExxonMobil, che lo scorso mese ha detto che la situazione della sicurezza non giustifica una grande presenza della società in Libia. Non è tutto. La spagnola Repsol è stata costretta a fermare dopo l'occupazione dei miliziani tuareg del terminal petrolifero di Marsa Hariga. Royal Dutch Shell lo scorso anno ha abbandonato due blocchi petroliferi, dopo i risultati deludenti della produzione.

Il problema del controllo del territorio e del disarmo delle milizie è centrale, anche se non si vede come possa avvenire. C'è una missione internazionale, tra l'altro, che comprende anche un contingente di carabinieri, per aiutare il governo libico a formare la polizia locale. E per aiutarla a disarmare le milizie. Una missione impossibile. E' di questi giorni la notizia di un Governo autonomo della Cirenaica, creato da Ibrahim Jadhran, il giovane e fantomatico capo delle Petroleum facilities guard, i miliziani che hanno in mano il pallino della produzione petrolifera, con le occupazioni e le incursioni di questi mesi. È in corso, in poche parole, una lotta neanche troppo sotto traccia ormai tra le tribù libiche delle tre regioni Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, che chiedono più poteri e una parte degli introiti petroliferi, e il potere centrale sempre più delegittimato.

Oltre alle tensioni con le milizie e le tribù ci sono anche i timori per la crescita del movimento islamista, le brigate di Ansar al-Shariah, quelle accusate per l'attentato all'ambasciata Usa di Bengasi, che sono molto forti soprattutto nelle zone interne del paese. Gli islamisti libici da un lato sono ispirati al movimento dei Fratelli musulmani egiziani, più orientati quindi alle politiche sociali ed economiche per rispondere alle esigenze della gente. Dall'altro però, con la diffusione delle armi fuori controllo, c'è un aumento di influenza della parte combattente del movimento, che si rifà ad al-Qaeda e ai movimenti armati del vicino Mali e che sembra possano contare sui finanziamenti che arrivano dal Qatar.

La transizione libica è un processo più complesso di quello che si poteva sperare all'indomani della caduta di Gheddafi, nell'ottobre di due anni fa. Un mix esplosivo. Un passo importante potrebbero essere le elezioni per la costituzione dell'Assemblea costituente che dovrebbero avvenire nel 2014. Sempreché il governo di Zeidan riesca ad arrivarci al 2014, senza una disgregazione del paese, di fatto già in corso.

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