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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2013 alle ore 07:14.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2013 alle ore 16:54.

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"Puoi scappare, ma tanto ti becchiamo". Il motto in inglese che campeggia sul muro del centro di controllo dei Predator dell'Aeronautica Militare parla chiaro: che si tratti di insurgents in Afghanistan o di scafisti nel canale di Sicilia, sfuggire all'occhio elettronico degli arei a pilotaggio remoto è praticamente impossibile. Dopo il tragico naufragio di Lampedusa, il governo ha disposto misure straordinarie per contenere l'ondata di migranti e scongiurare il rischio di altri incidenti.

L'operazione interforze "Mare Nostrum" coinvolge la Marina Militare con pattugliatori d'altura, l'Esercito con gli uomini del Corpo d'Armata di Reazione Rapida di Solbiate Olona a supporto delle forze di polizia di Lampedusa e, da circa due settimane, l'Aeronautica Militare con i Predator del 28° Gruppo di Amendola, in provincia di Foggia. «Innanzitutto non chiamiamoli droni: è una parola che ci fa male, perché non si tratta di robot autonomi, ma il volo di questi apparecchi è possibile solo grazie al lavoro di tanti uomini». Il colonnello Michele Oballa, comandante del 32° Stormo da cui dipendono i Predator del 28° Gruppo, ci tiene a chiarire che siamo davanti ad aerei veri e propri, pilotati in tempo reale da piloti dell'Aeronautica che si siedono ad una postazione della Ground Control Station e che gestiscono la missione in remoto con tanto di cloche e manetta del motore.

L'unica differenza è che il Predator (o Apr: aeromobile a pilotaggio remoto) ha la capacità di restare in volo per oltre 20 ore consecutive (in gergo: "persistenza") e può coprire aree vastissime grazie ai consumi di carburante molto contenuti. Volando a quote che raggiungono gli 8mila metri, i sensori ottici, infrarossi e radar del Predator B possono rilevare qualsiasi imbarcazione nel raggio di centinaia di chilometri. Con una buona visibilità è possibile leggere i contrassegni della barca e addirittura distinguere i volti degli occupanti. In uno degli ultimi avvistamenti, per esempio, lo scafista è stato individuato con certezza dagli specialisti che analizzano i dati inviati a terra via satellite dall'Apr. In caso di avvistamenti sospetti, il Centro Operativo Aereo di Ferrara raccoglie i dati e lancia l'allarme alle unità della Marina Militare che interviene sul posto per i controlli ravvicinati. In questo modo il pattugliamento del canale di Sicilia (o di qualunque altra area) è molto più efficiente, economico e mirato. «Questi velivoli sono solo una componente di una architettura composta da vari elementi e soprattutto da molti uomini - spiega il colonnello Oballa -. Sono aerei come tutti gli altri, ma non hanno niente a che vedere con gli arei-spia dei tempi della guerra fredda, infatti volano a quote normali e non hanno capacità stealth».

Il Predator B, evoluzione dalla versione "A", ha un motore a elica spingente da 900 hp, un'apertura alare di 20 metri e può raggiungere una velocità massima di 445 km/h. Sono prodotti dall'americana General Atomics e possono anche essere armati, ma gli esemplari acquistati dall'Italia hanno esclusivamente capacità di ricognizione, sorveglianza e acquisizione obiettivi. L'Aeronautica Militare italiana ha acquistato i primi esemplari circa dieci anni fa, maturando una competenza nell'uso di questi mezzi seconda solo a quella dell'Usaf statunitense. Secondo il colonnello Oballa «con l'operazione "Mare Nostrum", il sistema-Paese ha messo in campo il meglio delle sue risorse per evitare altri naufragi. Il nostro compito è vigilare sul canale di Sicilia e lo facciamo al meglio delle nostre capacità». Anche se il pilotaggio è "in remoto" e in cabina non c'è puzza di cherosene.

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