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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2013 alle ore 12:22.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2013 alle ore 18:08.

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(Ap)(Ap)

La Germania dipende troppo dall'export e troppo poco dalla domanda interna: il risultato è che esporta deflazione non solo in Europa ma in tutto il mondo. Capita spesso di leggere queste considerazioni nei rapporti delle banche d'affari, ma questa volta l'atto d'accusa è contenuto nero su bianco nel rapporto semestrale del Tesoro americano sulle valute e le politiche economiche dei Paesi concorrenti degli Usa. Una critica definita «incomprensibile» da Berlino.

«L'anemico tasso di crescita della domanda interna in Germania e la dipendenza dall'export - recita il documento diffuso ieri in tarda serata a Washington - hanno ostacolato il ribilanciamento in una fase in cui molte economie dell'area euro sono sotto forte pressione per tagliare la domanda e comprimere l'import. Il risultato è un effetto deflazionistico nell'area euro e nell'economia mondiale».

Berlino insomma dopo aver imposto ai Paesi del Sud Europa una dura medicina di austerità ora dovrebbe aiutarli a uscire dalla recessione. L'atto d'accusa americano alla Germania aggiunge nuovi motivi di tensione ai rapporti tra i due Paesi già sotto stress per la vicenda dello spionaggio dell'Nsa alla cancelliera Merkel.

La risposta di Berlino non si è fatta attendere: «Il surplus commerciale - afferma in una nota il ministero dell'Economia - è il risultato della forte competitività dell'economia tedesca» e le critiche americane sono quindi «incomprensibili». «Incidentalmente - prosegue il comunicato - ricordiamo che per l'Fmi l'avanzo commerciale tedesco non deriva da distorsioni nella politica economica del Governo». In difesa della Germania è intervenuta anche la Commissione europea, che attraverso il suo portavoce l'ha definita «una locomotiva per la zona euro e per la Ue». Il problema è che il treno europeo viaggia a una velocità troppo bassa.

Surplus più alto della Cina
Il Tesoro americano difende la sua tesi con la forza dei numeri. Nel 2012, ricorda, l'attivo della Germania nelle partite correnti (merci, servizi e capitali) è salito da 223,3 a 238,5 miliardi di dollari, superando addirittura quello della Cina, che è stato di 193,1 miliardi. Uno squilibrio ritenuto eccessivo, che deve essere corretto con politiche economiche più orientate al sostegno dei consumi interni e dei salari. Gli Stati Uniti hanno il problema opposto: un deficit delle partite correnti di ben 475 miliardi di dollari nel 2012, cioè comprano dall'estero molte più merci e servizi di quelli che esportano. Restringendo l'obiettivo all'Italia, il quadro non cambia: il nostro Paese vanta un surplus commerciale di 14 miliardi di euro con gli Stati Uniti e un deficit di 6,5 miliardi con la Germania.

Anche Berlino ha bisogno di più crescita
Come correggere questo squilibrio? Nessuno ovviamente può rimproverare alla Germania di esportare troppo: la sua capacità di guadagnare quote di mercato, soprattutto nei Paesi emergenti, è un merito, non un difetto. Ciò che auspica il Tesoro Usa è una maggiore brillantezza della domanda interna tedesca, che potrebbe rilanciare un tasso di crescita del Pil fermo quest'anno allo 0,4% dopo il +0,7% del 2012. Se l'Europa meridionale sta cercando faticosamente di uscire dalla recessione, la Germania non va oltre lo zero virgola. Eppure non sembra che il nuovo Governo tedesco sia intenzionato a cambiare rotta: la Cdu di Angela Merkel si è limitata a promettere in campagna elettorale che non vuole aumentare le tasse, la Spd invece chiede una maggiore pressione fiscale sulle fasce alte di reddito ma in cambio vuole introdurre il salario minimo per aumentare il reddito delle fasce di precariato tedesco simboleggiate dai mini-jobs. D'altra parte, è difficile negare che il mercato del lavoro tedesco sia efficiente: con una disoccupazione al 5,2%, il livello più basso dalla riunificazione, la Germania fa invidia a mezza Europa.

Critiche meno severe a Cina e Giappone
Il Tesoro americano, come di consueto, prende di mira anche la Cina e le sue politiche di cambio. Lo yuan secondo Washington è «nettamente sottovalutato», ma come nei precedenti rapporti manca il riferimento alla manipolazione del cambio che autorizzerebbe la Casa Bianca ad adottare ritorsioni commerciali contro Pechino. C'è anzi un apprezzamento per la recente rivalutazione della valuta cinese, che viene giudicato «positivo per l'economia americana». Quanto alla Abenomics, gli Usa «controlleranno attentamente» le politiche economiche di Tokyo per verificare che non comportino una eccessiva svalutazione dello yen. Il monito a Cina e Giappone tuttavia resta in secondo piano: sul banco degli imputati questa volta è la Germania.

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