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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2013 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:34.

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Lo descrivono «furioso». Ma il sì della giunta al voto palese non è stato per Silvio Berlusconi un fulmine a ciel sereno. Il Cavaliere l'aveva già messo in conto. Anche se ritiene che questa scelta sia l'ennesima conferma che non ci siano possibilità di «poter andare avanti con questa maggioranza». Berlusconi è pronto alla crisi.

Qualcuno assicura che l'annuncio arriverà presto. In realtà una decisione definitiva non è stata ancora presa, tant'è che nelle stesse ore l'ex premier ha dato il via libera ai capigruppo Schifani e Brunetta di andare a Palazzo Chigi a trattare sulla legge di stabilità. «Cosa altro deve succedere? Tutto è ormai chiaro», sentenzia il lealista Raffaele Fitto subito dopo il verdetto della Giunta e prima di salire a Palazzo Grazioli dal Cavaliere.
Parole indirizzate in primis ad Angelino Alfano. Il segretario aspetta un po' prima di diffondere la sua dichiarazione, che arriva solo a metà pomeriggio. Alfano attacca Pd e Scelta civica che con il loro sì al voto palese hanno violato «un principio di civiltà» e annuncia «battaglia» in Parlamento». Ma nessun accenno da parte del segretario e vicepremier al governo. È la stessa linea di Enrico Letta che prima ancora del pronunciamento della Giunta aveva ribadito la non sovrapponibilità della vicenda di Berlusconi con il governo, ricordando che questo era stato «il pilastro» della fiducia confermatagli il 2 ottobre.

Alfano lo aveva già detto a Berlusconi nell'incontro svoltosi a Palazzo Grazioli martedì sera. E proprio per questo Berlusconi aveva deciso di rinunciare al pranzo con gli altri ministri, che si sarebbe dovuto tenere ieri a Palazzo Grazioli. Al posto di Quagliariello, De Girolamo, Lorenzin e Lupi c'erano invece i falchi Verdini e Bondi oltre a Gianni Letta. Ed è proprio Bondi al termine dell'incontro con Berlusconi a diffondere una nota in cui si attaccano non solo i nemici di sempre ma anche gli ex amici di partito definendo «dichiarazioni di facciata, più o meno sentite» quelle contro la decisione della Giunta espresse dall'ala governativa del Pdl. Nelle stesse ore Alfano è a Palazzo Chigi con il premier mentre Quagliariello dalle telecamere di Sky annuncia che «il governo durerà fino al 2015», che larga parte del partito «la pensa come me e sicuramente anche Alfano».
A questo punto si attende solo il voto sulla decadenza, che i lealisti vorrebbero far coincidere con una grande manifestazione a Roma di sostegno al Cavaliere. E anche la data sul voto è diventata centrale. La mancata calendarizzazione fino al 22 novembre può essere rimessa in discussione dalla Capigruppo. Qualcuno ieri ipotizzava che il voto potrebbe arrivare già attorno a metà mese. Ma nessuno sottovaluta il rischio di far sovrapporre la decadenza di Berlusconi con il passaggio al Senato della legge di stabilità. L'uscita dal Parlamento del Cavaliere sarà infatti lo spartiacque della legislatura. Fitto non a caso vorrebbe far anticipare il Consiglio nazionale che dovrebbe sancire la morte del Pdl e la rinascita di Fi a prima dell'8 dicembre. Una proposta che è stata rilanciata dal leader dei lealisti ieri sera nell'incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi.

Il Cavaliere sta valutando. Nel frattempo tanto i lealisti che i governativi stanno serrando i ranghi. I falchi sostengono di aver già raccolto oltre 600 firme di adesione al documento dell'Ufficio di presidenza che ha dato il via libera a Fi e dichiarato inaccettabile per il Pdl la decadenza di Berlusconi. Anche l'area dei governativi però garantisce di avere i numeri dalla propria parte: «Se arrivano ad avere 350 delegati è già tanto...» sostiene una colomba certa che i lealisti non raggiungeranno mai il quorum dei 2/3 necessario per cancellare il Pdl. E non si tratta solo di mere regole procedurali. Se il passaggio dal Pdl a Fi non avvenisse consensualmente ci sarebbero pesanti ricadute anche sul fronte finanziario.

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