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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2013 alle ore 08:26.

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MILANO
Cosa rimane dell'inchiesta Mps, a quasi un anno di distanza? Il principale dossier riguarda l'acquisizione della banca Antonveneta, venduta a Mps dal Santander per 9,3 miliardi, a cui si aggiungono circa 8 miliardi di debiti che il Monte, senza una due diligence e senza clausole di salvaguardia, dovette accollarsi senza averne consapevolezza. Le indagini si sono chiuse a fine luglio 2013. Le richieste di rinvio a giudizio riguardano 7 persone: l'ex presidente del Monte Giuseppe Mussari e l'ex dg Antonio Vigni, i tre ex sindaci revisori, il capo dell'area finanziaria Daniele Pirondini e dell'area legale Raffaele Rizzi. Nella lista degli indagati si è aggiunto a settembre il consulente legale Michele Crisostomo, per cui ancora non è stata formulata richiesta di rinvio a giudizio. Nella "black list" c'è anche Jp Morgan, accusata di illecito amministrativo, mentre Mps viene considerata parte lesa.
La storia è nota: Mussari voleva creare il terzo polo bancario italiano, spingendosi in una operazione sì costosa ma, dicono gli stessi procuratori, in linea con i prezzi delle scalate bancarie di quegli anni. A causa della fretta non vennero appropriatamente conteggiati i debiti della banca padovana, e la crisi ha aggravato la situazione. Alla fine l'operazione è costata più del previsto. E fin qui siamo all'interno di una scelta manageriale sbagliata.
I pm arricchiscono inoltre il fascicolo con interrogatori significativi, da cui si evince che la politica ha avuto un ruolo importante nell'acquisizione di Antonveneta. E si evince anche qualcosa di più: quella che tradizionalmente viene riconosciuta come una banca (e una città) vicine al centrosinistra, è in realtà il regno del consociativismo: dal centrosinistra al centrodestra, tutti parlavano con i vertici del Monte dei Paschi. A partire dall'ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi. Ad oggi non si intravedono reati, bensì un quadro "sociologico" peraltro noto alla stampa (e ai senesi) da decenni. Anche perché il controllo della politica sul Monte è stato nei fatti: la Fondazione Mps deteneva il pacchetto di controllo delle azioni, e il Comune di Siena ne era il principale rappresentante. Di fatto, il Comune era il padrone della banca. Palesemente. E i sindaci, in modo altrettanto palese, sono stati spesso dipendenti bancari. Una commistione sotto gli occhi di tutti.
Cosa rimane dunque di Antonveneta, sotto il profilo penale? Non ci sono, stando alle attuali carte dell'inchiesta, maxi-tangenti, ma reati societari legati all'aumento di capitale necessario all'operazione, il miliardo di titoli Fresh emessi da Jp Morgan, le cui modalità non sono state comunicate a Bankitalia. Rimangono i reati di ostacolo alla vigilanza, manipolazione del mercato e falso in prospetto. La sostanza: mancherebbero all'appello 76 milioni nello stato patrimoniale di Mps.

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